di James North, 14 marzo 2020
Copertina – Un dipendente del ministero della Sanità palestinese che indossa una maschera prepara un posto di quarantena per testare i passeggeri di ritorno dalla Cina per il coronavirus, installato dal Ministero della salute palestinese, al valico di frontiera di Rafah nella striscia meridionale di Gaza il 16 febbraio 2020. La Cina ha più di 80 sperimentazioni cliniche in corso o in attesa su potenziali trattamenti per COVID-19, la malattia causata da un nuovo coronavirus che finora ha ucciso quasi 1.400 persone e infettato oltre 48.000 in tutta la Cina. Foto di Mariam Dagga
Oggi il New York Times ha pubblicato un articolo terribile sulla crisi del coronavirus, concentrandosi solo sul suo impatto sulle manovre israeliane postelettorali, facendo a malapena menzione della minaccia per i palestinesi nella Cisgiordania occupata e lasciando completamente fuori Gaza.
Isabel Kershner parla a lungo di come Benjamin Netanyahu stia usando la crisi per mostrare una risolutezza che spera gli permetterà di far parte di un nuovo governo e così restare fuori di prigione. Un editorialista di Haaretz osserva che Netanyahu “sta spremendo ogni goccia di benefici politici e propaganda dal coronavirus…“
Ma un’altra citazione suggerisce la storia molto più importante che Kershner ha tralasciato. Un portavoce del ministero degli Esteri israeliano afferma: “Israele è un paese molto piccolo e affollato. Sarà difficile fermare un’epidemia.”
Chiunque in Israele/Palestina, con un minimo di sensibilità, sentisse “piccolo e affollato” rivolgerebbe immediatamente i propri pensieri a Gaza. Con 1,8 milioni di persone, è uno dei luoghi più densamente popolati della terra. Si presume che la Kershner legga Haaretz, che il giorno prima pubblicava un articolo intitolato: “Il coronavirus è una condanna a morte per i palestinesi messi in gabbia a Gaza”. Lo scrivente, Shannon Maree Torrens, osservava che le Nazioni Unite hanno già avvertito che l’assistenza sanitaria a Gaza è al “punto di rottura”.
Torrens prosegue:
Gaza ha una significativa mancanza di cure mediche di qualità, un deficit nelle forniture mediche e un personale medico scarsamente retribuito che ha portato a una prolungata crisi sanitaria. La situazione è aggravata dal blocco che va avanti da quasi 13 anni e dal conflitto con Israele.
Questo sito aveva avvertito del pericolo già prima, il 5 marzo. Il prezioso Ramzy Baroud chiedeva: “Cosa succede se il Coronavirus raggiunge la Striscia di Gaza?”. Sottolineava che il territorio sotto assedio sta ancora lottando per prendersi cura dell’enorme numero di vittime dei cecchini israeliani. Diceva:
Gli ospedali, che a Gaza funzionano a malapena, stanno cercando disperatamente di affrontare la ricaduta delle migliaia di ferite risultanti dalla Grande Marcia del Ritorno. . .
L’articolo del New York Times non menziona Gaza una sola volta, anche se tratta ampiamente delle misure che Israele sta adottando per impedire che l’epidemia porti al caos. Quasi come un ripensamento, nel penultimo paragrafo, la Kershner tocca la Cisgiordania occupata, ma soprattutto per lodare implicitamente Israele nel suo “facilitare il trasferimento di disinfettanti, kit di test… “ verso il territorio.
E’ sgradevole come la redazione del New York Times a Gerusalemme pratica apartheid giornalistico. Il coronavirus è una crisi solo quando si applica agli ebrei israeliani e alle loro macchinazioni politiche. Palestinesi, gazawi, non contano.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org