“I nostri cuori stanno morendo”: parla il medico palestinese all’epicentro della catastrofe del coronavirus in Italia.

L’anestesista Talal Soufan è in prima linea contro la pandemia nella regione più colpita del mondo e ha un messaggio urgente per i suoi connazionali in Cisgiordania.

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Davide Lerner – 31 marzo 2020

Immagine di copertina:  Un medico dell’unità speciale coronavirus nella città di Bergamo Credit: Claudio Furlan

Talal Soufan, un medico palestinese in prima linea nella lotta contro la pandemia di coronavirus nel nord Italia, ha un forte messaggio per il Medio Oriente: “Fate tutto ciò che serve affinché questo inferno non arrivi da voi.”

Soufan, 66 anni, è un anestesista rianimatore ed è quindi costantemente al lavoro  in provincia di Bergamo – che ha avuto quasi 2.000 morti COVID-19 in poco più di un mese. E il bilancio delle vittime ufficiale sarà probabilmente molto più alto: molte persone  muoiono nelle loro case prima ancora di essere  sottoposte al test per il coronavirus, i loro necrologi riempiono pagine e le pagine del quotidiano locale, L’Eco di Bergamo.

“All’inizio lo consideravamo solo un problema cinese e quando l’abbiamo preso sul serio era già troppo tardi”, dice il  medico di Nablus, parlando ad Haaretz per telefono. “In Medio Oriente, con i sistemi sanitari molto meno avanzati, colpirebbe cento volte di più”, avverte l’anestesista, che ha trascorso quasi trent’anni lavorando all’ospedale San Marco di  Zingonia (a circa 25 minuti di auto dalla città di Bergamo).

Soufan è responsabile dei pazienti con coronavirus più gravi che necessitano di cure intensive nel suo ospedale, che ha poco meno di 300 letti. L’unico modo in cui possono sopravvivere è l’intubazione, una procedura invasiva che prevede l’inserimento di un tubo nella gola e nelle vie respiratorie.

Il medico stima che circa il 40 percento dei pazienti  ricoverati nella sua unità di terapia intensiva finisca per morire. “Perdiamo un paziente ogni mezz’ora”, afferma.

I problemi del Nord Italia stanno iniziando a manifestarsi  in luoghi come New York con un numero  enorme di pazienti che  necessitano respiratori, il che significa che alcuni pazienti non sono in grado di ricevere immediatamente le cure necessarie.

I medici hanno già dovuto affrontare un  simile dilemma, afferma Soufan, poiché l’intubazione è già di per sé una procedura molto invasiva , ma  ancor più in queste circostanze. “Siamo costretti a dare la priorità ad alcuni pazienti rispetto ad altri in base all’età, alle condizioni mediche preesistenti, alle loro reali possibilità di sopravvivenza”, afferma.

È anche preoccupato che luoghi come Nablus e la Cisgiordania siano completamente impreparati per la battaglia che li attende.

“Una volta ho visitato l’ICU dell’ospedale medico Al-Watani di Nablus, e sembra il magazzino di quello di qui”, dice. “Non hanno personale, materiale o strumenti per affrontare il coronavirus – e sapete quanto sia complicato importare roba laggiù”, aggiunge, riferendosi al controllo israeliano  sui confini dell’Autorità Palestinese.

“L’unica speranza è che le persone ne impediscano la diffusione. Se il virus dovesse colpire meno duramente, la popolazione potrebbe  resistere maggiormente perché molto più giovane”, afferma. Secondo l’ufficio statistico dell’Unione Europea, la popolazione italiana è la più anziana della UE, con quasi una persona su quattro di età pari o superiore a 65 anni, una situazione totalmente diversa dalla Cisgiordania.

Alla domanda sulla Striscia di Gaza, Soufan cita il detto popolare “Non tutto il male vien per nuocere” – l’equivalente italiano di “Ogni nuvola ha un bordo d’argento” – in riferimento al blocco israeliano dell’enclave palestinese. “Speriamo che il lungo assedio li protegga dal coronavirus, perché altrimenti sarebbe un disastro”, dice.

C’è una sura del Corano che Soufan ama citare per cercare di convincere i suoi parenti a Nablus a rimanere a casa: “O formiche, rientrate nelle vostre dimore, che non vi schiaccino inavvertitamente Salomone e le sue truppe. ” Il profeta “ordinò al suo esercito di cambiare rotta, risparmiando così le formiche”, spiega.

Come persona che vive in Italia fin dagli anni ’70, l’interpretazione di Soufan è anche nello spirito del detto italiano “Aiutati che Dio ti aiuta” (“Dio aiuta coloro che si aiutano da soli”). “I palestinesi e tutti gli altri nel mondo devono prendere tutte le misure necessarie e quindi sperare per il meglio”, afferma. “Questo virus ha sconvolto i sistemi sanitari più avanzati in Europa. Se si diffondesse in modo consistente  nei Paesi più poveri, sarebbe l’apocalisse. ”

Da martedì oltre 100 palestinesi  sono risultati positivi al coronavirus in Cisgiordania, con un solo decesso. In Israele sono risultate positive oltre 4.800 persone, con 17 decessi. Gaza ha ufficialmente 10 casi, un numero basso che potrebbe essere parzialmente spiegato dalla limitata capacità di effettuare i test.

Senso di terrore

Sabato, quando ha parlato con Haaretz, Soufan temeva già il turno di notte che lo stava aspettando  poche ore dopo.

“So che non sono rimasti letti disponibili in terapia intensiva e temo il momento in cui dovrò prendere una decisione da solo  rispetto a un nuovo paziente grave”, dice. “Durante l’ultima notte in cui ho lavorato, avevo un uomo sulla cinquantina che stava per morire e nessuno spazio in terapia intensiva. Alla fine, ho utilizzato due ventilatori portatili per ambulanze, che sono sì meno efficaci, ma lo hanno tenuto in vita. In tempi normali, avremmo messo le persone molto anziane in terapia intensiva, ma ora è come una guerra “, dice.

Questo è un argomento davvero difficile  di cui parlare per i medici, ammette. “Amici e parenti mi chiedono: ‘È vero che a volte non potete intubare le persone che ne hanno bisogno?’ Ma cosa fareste se aveste un paziente di 50 anni senza altre patologie e uno di 70 con poco possibilità di sopravvivere – e solo un letto di terapia intensiva? ” chiede.

Tuttavia Soufan ci tiene a enfatizzare soprattutto un punto. “Non giudicate erroneamente: nessuno viene abbandonato. Coloro che non ottengono i ventilatori ricevono comunque tutti i trattamenti non invasivi che possiamo offrire per salvare loro la vita. Non lasciamo morire senza cure i nostri pazienti anziani “, afferma.

Da quando in Italia a febbraio è iniziata la crisi, il Paese ha quasi raddoppiato il numero dei suoi ventilatori per terapia intensiva – da 5.000 a 8.900  e il numero continua ad aumentare di giorno in giorno. Ma Soufan dice che solo due hanno raggiunto il suo ospedale.

In una recente lettera a Haaretz, l’ambasciatore italiano in Israele, Gianluigi Benedetti, ha osservato che esiste “un protocollo specifico … per il rapido trasferimento dei malati da una regione all’altra”. Soufan conferma che alcuni pazienti sono stati effettivamente trasferiti, ma afferma  che ci sarebbe molto altro da fare.

“Questi pazienti hanno bisogno di cure immediate e  i rianimatori sono così scarsi che non possiamo permetterci di accompagnarli  in ospedali troppo lontani “, afferma. “Se il numero complessivo di pazienti affetti da coronavirus fosse distribuito in modo più uniforme tra le regioni, il problema dei ventilatori sarebbe meno grave”, spiega.

Un altro problema che contribuisce alla congestione della terapia intensiva è che in luoghi come Bergamo, le indicazioni delle autorità sono che le persone  devono richiedere assistenza medica solo quando soffrono di sintomi gravi, e ciò significa che pazienti che potrebbero trarre beneficio dal trattamento in una fase iniziale della malattia, quando finalmente raggiungono l’ospedale finiscono per aver bisogno di cure intensive.

In tempi più felici, l’ospedale San Marco era conosciuto soprattutto  per seguire i giocatori di calcio dell’Atalanta, la squadra locale di Serie A i cui campi di allenamento  sono nella zona. Il club stava vivendo la stagione di maggior successo della sua storia, condizione che ha avuto essa stessa un tragico effetto sulla diffusione a catena del virus: il 19 febbraio, mentre COVID-19 si stava diffondendo silenziosamente in tutto il nord Italia, circa 40.000  tifosi bergamaschi- una provincia di circa 1 milione di persone – ha viaggiato per 50 chilometri (circa 30 miglia) fino a Milano, per assistere ad una partita cruciale dell’Atalanta contro il Valencia spagnolo. L’avvenimento è stato poi considerato un forte acceleratore per la malattia ed è stato definito una “bomba biologica”.

Sebbene il numero confermato di casi di coronavirus in Italia abbia recentemente superato i 100.000, con quasi 11.600 morti, i media locali hanno riferito che la crescita esponenziale della pandemia potrebbe rallentare, sia a livello nazionale che nelle regioni settentrionali più colpite. Questo è un piccolo conforto per Soufan. “All’ospedale è ancora lo stesso inferno” sospira.

L’anno prossimo a Nablus

Talal Soufan lasciò Nablus quando aveva vent’anni. Dopo aver studiato medicina a Catania,  in Sicilia, ottenne il lavoro a Bergamo – e non l’ha mai lasciato. “Ogni anno mi dicevo: “Resto un altro anno e poi ritorno a Nablus. “Ma poi mi sono trovato bene, sono diventato cittadino italiano e ho finito per non tornare più”, afferma.

Tuttavia visita regolarmente la sua città natale. “Ho un fratello che ha studiato in Giordania e si è trasferito in Arabia Saudita per lavoro, ma la maggior parte della mia famiglia è ancora a Nablus”, dice. “Anche dopo essere diventato italiano, non mi è permesso volare direttamente da Bergamo a Tel Aviv e guidare  fino a Nablus. Per gli israeliani, ciò che conta è la mia carta d’identità palestinese  e quindi devo passare  da Amman ”.

L’unico lato positivo, dice, è che il controllo delle frontiere tra Giordania e Cisgiordania è diventato molto più rilassato rispetto a quando si è trasferito per la prima volta in Italia. “Gli israeliani erano molto più aggressivi – una volta mi hanno spogliato completamente nudo; ora sono più rispettosi “, racconta. “Ed è più raro che  cancellino l’ID delle persone perché sono state all’estero  troppo a lungo”, aggiunge.

Ma è la sua casa adottiva di Bergamo che preoccupa Soufan in questo momento. “Sono preoccupato perchè anche il personale medico si sta riducendo.  Molti colleghi risultano positivi al coronavirus, pertanto siamo a corto di personale per questo tipo di pazienti “, afferma.

I medici sono costretti a razionare i dispositivi di protezione come maschere e camici, “come le mogli razionano il cibo in periodi di carestia”, osserva. Medici e infermieri devono anche supportare emotivamente i pazienti il ​​più possibile, poiché i parenti non sono autorizzati a visitarli per evitare la contaminazione.

“A meno che non vi sia un’emergenza, chiamiamo le famiglie una volta al giorno per un aggiornamento. È molto triste a livello umano “, afferma Soufan. “Parliamo con i pazienti e cerchiamo di essere di supporto. Ma dentro, i nostri cuori stanno morendo. Ho  sedato pazienti con cui avevo  parlato e non li ho mai più rivisti vivi . ” Fa una pausa per un secondo. “E non sappiamo quando tutto questo finirà .”

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org

 

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