Nuovi rapporti collocano Israele tra le 25 “democrazie in declino” del mondo.

Sia la Freedom House che il Rapporto annuale sulla democrazia di V-DEM mostrano che Israele sta vivendo un precipitoso declino della democrazia. Probabilmente i 2 milioni di cittadini arabi che ci vivono non si stupiranno.

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Di Ramzy Baroud – 2 Aprile 2020

La Tunisia detiene il titolo di maggiore democrazia del Medio Oriente, secondo i risultati del V-Dem Annual Democracy Report 2019. Uno dei rapporti annuali più considerati al mondo sulla democrazia e il buon governo, il V-Dem Report è prodotto dal V-Dem Varieties of Democracy) Institute presso l’Università di Göteborg in Svezia.

Mentre i tunisini possono essere orgogliosi della prospettiva di democrazia nel loro paese, gli israeliani hanno poco di cui essere orgogliosi. Un paese che da tempo si vanta, per quanto fuorviante, di essere “l’unica democrazia in Medio Oriente”, è stata superata dalla Tunisia, una piccola nazione araba nordafricana di poco più di 11 milioni di persone.

Comprensibilmente, i tunisini potrebbero trovare meno significativa la loro classifica generale davanti a democrazie consolidate, considerando che il paese, politicamente instabile, sta ancora attraversando una dolorosa transizione democratica. Tuttavia, considerando che il Paese ha registrato un notevole miglioramento in ogni aspetto democratico esaminato dal Rapporto V-Dem, la Tunisia merita davvero il titolo di “artefice principale della democratizzazione degli ultimi dieci anni”.

Israele, tuttavia, è stato, ancora una volta, evidenziato per la sua falsa democrazia. Da quando è stato istituito in cima alle rovine della patria palestinese, Israele ha propagandato incessantemente le sue virtù democratiche, escludendo milioni di arabi palestinesi da qualsiasi forma di partecipazione democratica.

Ci sono 5 milioni di palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare israeliana a Gerusalemme est, Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Non solo viene loro negato il diritto di esercitare qualsiasi forma di vera democrazia, ma gli viene inoltre negata la libertà di parola, espressione e movimento.

Nel frattempo, 2 milioni di arabi palestinesi, che sono cittadini di Israele, sono trattati come cittadini di seconda o terza classe, sottoposti a numerose leggi discriminatorie che mirano a limitare le loro aspirazioni e i loro diritti politici, culturali ed economici

In effetti, il razzismo istituzionale e la paura fomentata contro le minoranze arabe in Israele è stata la strategia della maggior parte dei partiti politici israeliani, sia di destra, di centro o di sinistra. Non sorprende quindi che Israele abbia recentemente ricevuto il peggior voto di sempre nel rapporto “Freedom in the World 2020” di Freedom House.

Secondo il rapporto, Israele era classificato tra le 25 “democrazie in declino” del mondo, che, ovviamente, includeva gli Stati Uniti.

Nel suo rapporto, Freedom House ha criticato duramente il Primo Ministro israeliano di destra, Benjamin Netanyahu, descrivendolo come “all’avanguardia del populismo nazionalista e razzista”.

“Netanyahu ha adottato misure sempre più drastiche per mantenere la lealtà dei gruppi di estrema destra, radicando ed espandendo gli insediamenti in Cisgiordania a spese del moribondo processo di pace palestinese, vietando l’ingresso agli attivisti stranieri in base alla loro opposizione a tali politiche e promulgando una legge discriminatoria che ha riservato il diritto all’autodeterminazione in Israele esclusivamente per il popolo ebraico”, afferma il rapporto.

Ciò spiega in parte il significativo calo del punteggio israeliano di sei punti nell’indice della democrazia dal 2009, visto da Freedom House come “un declino insolitamente grande per una democrazia consolidata”.

C’è da riflettere sul perché del tardivo riconoscimento nelle credenziali anti-democratiche di Israele, nonostante il fatto che avrebbe comunque ottenuto un punteggio scarso in tutti gli indici di standard democratici in qualsiasi momento del passato.

Certamente Netanyahu è riuscito a decimare qualsiasi pretesa israeliana di vera democrazia, grazie all’attacco del suo governo alle libertà civili e anche alle libertà all’interno delle circoscrizioni ebraiche israeliane. Ma era giusto che Israele fosse ancora classificata come una “democrazia liberale” quando milioni di arabi palestinesi e altri gruppi minoritari erano le principali e forse le uniche vittime del razzismo e della discriminazione istituzionali israeliani?

In altre parole, sembra che Israele abbia iniziato a perdere i suoi riconoscimenti democratici quando Netanyahu ha osato sconvolgere l’equilibrio sociopolitico tra la popolazione ebrea e araba di Israele.

Comunque sia, la festa è finita. Se il rapporto della Freedom House non fosse abbastanza chiaro riguardo alla fallita democrazia di Israele, il rapporto V-Dem è ancor più incriminante e dettagliato.

Secondo il “Political Corruption Index” del rapporto svedese, Israele è il 35° paese politicamente più corrotto, seguito subito dopo dal Botswana nell’Africa meridionale. È interessante notare che gli Emirati Arabi Uniti sono sei punti davanti a Israele in quella categoria e un posto davanti agli Stati Uniti.

Se quel punteggio non è stato abbastanza negativo, in realtà è stata la migliore prestazione di Israele in tutti gli altri indici: Israele ha occupato il 51° posto nell’indice “Liberal Democracy Index”, 53° nell’indice “Component Egalitarian Component”, 55° nell’indice “Electoral Democracy Index”, 57° nell’indice dei componenti liberali e 76° nell’indice dei componenti deliberativi. Ma c’è di peggio.

Particolarmente rivelatore è il punteggio di Israele nell’indice dei componenti partecipativi, in cui Israele ha conquistato l’80° posizione, in recessione rispetto a Congo, Zambia, Somaliland e Myanmar, quest’ultimo sotto osservazione internazionale per i suoi massacri e le campagne di pulizia etnica contro i musulmani Rohingya, la minoranza nel paese del sud-est asiatico.

Ciò non è affatto sorprendente poiché Israele ha sempre percepito la sua popolazione araba palestinese, ma in realtà tutti i palestinesi, come una “bomba demografica”, la cui diffusione può essere fermata solo attraverso l’esclusione, l’emarginazione o la pulizia etnica.

La legge dello Stato nazionale del 2018 non era un tentativo innocente di un paese desideroso di definirsi (abbastanza stranamente, sette decenni dopo la sua fondazione), ma un tentativo deliberato di gettare le basi legali per un sistema prolungato di apartheid.

Netanyahu ha riassunto perfettamente questo sentimento quando ha esclamato, prima delle elezioni generali di marzo 2015 che “il governo di destra è in pericolo. Gli elettori arabi si stanno dirigendo ai seggi elettorali in massa.”

Nella mente di Netanyahu, infatti, dall’analisi dei principali politici israeliani, la partecipazione degli arabi al processo democratico è una minaccia che deve essere eliminata, proprio come il loro numero crescente, una minaccia demografica che deve essere contrastata ad ogni costo.

In verità, né la Freedom House né il V-Dem Institute stanno trasmettendo nuove informazioni sullo status democratico di Israele, che non ha mai meritato l’emblema di democrazia, che ha usato per razionalizzare tutte le sue guerre, assedi e maltrattamenti dei palestinesi.

Ora, anche quella falsa pretesa di democrazia è persa, probabilmente per sempre. Secondo gli stessi standard democratici creati dalle istituzioni occidentali, la Tunisia è ora l’unica democrazia in Medio Oriente.

Più importante degli emblemi e dei titoli, tuttavia, è il fatto che Israele dovrebbe ora essere smascherato per i suoi crimini contro i palestinesi senza che le critiche tanto attese debbano essere filtrate attraverso il discorso sulla falsa democrazia di Israele.

 

Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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