Un giovane uomo legato ad un albero e dato alle fiamme. Una donna e un vecchio fucilati alle spalle. Le ragazze furono messe in fila contro un muro e giustiziate con un mitra. Le testimonianze raccolte dalla cineasta Neta Shoshani sul massacro di Deir Yassin sono difficili da elaborare anche 70 anni dopo il fatto.
Copertina: Combattenti della milizia israeliana pre-stato che occupano il villaggio di Deir Yassin, aprile 1948. Credito: archivio IDF / Still del film “Born in Deir Yassin”
Di Ofer Aderet – 16 Luglio 2017
Ormai da due anni un documento, molto duro da leggere, si trova negli archivi dell’associazione che custodisce l’eredità di Lehi, la milizia clandestina pre-stato dei “combattenti per la libertà” di Israele. È stato scritto da un membro della resistenza circa 70 anni fa. Leggerlo potrebbe riaprire una ferita sanguinante dai giorni della guerra di indipendenza che ancora oggi suscita molta emozione nella società israeliana.
“Venerdì scorso insieme a Etzel”, l’acronimo per National Military Organization, noto anche come Irgun, un’altra milizia clandestina pre-stato, guidata da Menachem Begin, “il nostro movimento ha compiuto una tremenda operazione per occupare il villaggio arabo sulla strada Gerusalemme-Tel Aviv, Deir Yassin. Ho partecipato a questa operazione nel modo più attivo”, ha scritto Yehuda Feder, il cui nome di battaglia nel Lehi, il Lohamei Herut Israel, noto anche come Banda Stern, era Giora.
Più avanti nella lettera, descrive in dettaglio il suo ruolo nel massacro che ha avuto luogo a Deir Yassin. “Questa è stata la prima volta nella mia vita che ho visto morire degli arabi per mano mia. Nel villaggio ho ucciso un uomo arabo armato e due ragazze arabe di 16 o 17 anni che stavano aiutando l’arabo che rispondeva al fuoco. Le ho appoggiate contro un muro giustiziandole con due raffiche di mitragliatrice Tommy”, ha scritto, descrivendo come ha eseguito l’esecuzione delle ragazze.
Insieme a questo, racconta del saccheggio nel villaggio con i suoi compagni dopo averlo occupato. “Abbiamo confiscato un sacco di soldi e gioielli d’argento e d’oro, come bottino”, ha scritto. Conclude la lettera con le parole: “questa è stata un’operazione davvero tremenda, e a ragione la sinistra ce lo rinfaccia ancora oggi”.
Questa lettera è uno dei documenti storici rivelati nel film documentario intitolato “Born in Deir Yassin” della regista Neta Shoshani, che ha dedicato diversi anni alla ricerca storica completa sul massacro di Deir Yassin, uno degli episodi salienti della guerra di “indipendenza”, rimasto una macchia su Israele ancora ad oggi.
Prima della proiezione del film al Jerusalem Film Festival, Shoshani ha mostrato ad Haaretz le testimonianze che ha raccolto sull’episodio, il risultato di numerose ricerche negli archivi e interviste approfondite con gli ultimi partecipanti viventi all’azione. Alcuni di loro hanno rotto un silenzio lungo decenni quando hanno raccontato, spesso per la prima volta davanti a una telecamera.
L’assalto al villaggio di Deir Yassin iniziò la mattina del 9 aprile 1948, nell’ambito dell’Operazione Nachshon per aprire un varco sulla strada bloccata verso Gerusalemme, con la partecipazione di circa 130 combattenti Lehi e Irgun appoggiati dall’Haganah, l’esercito preindipendenza. Le milizie sioniste incontrarono una forte resistenza e un fuoco di precisione e avanzarono lentamente attraverso i vicoli del villaggio lanciando granate e facendo esplodere le case.
Quattro dei combattenti furono uccisi e dozzine furono feriti. Il numero di abitanti arabi che sono stati uccisi e le circostanze della loro morte sono state contestate per molti anni, ma la maggior parte dei ricercatori afferma che 110 abitanti del villaggio, tra cui donne, bambini e anziani, sono stati giustiziati sul posto.
“Correvano come gatti”, racconta il comandante dell’operazione, Yehoshua Zettler, il comandante Lehi di Gerusalemme, mentre descriveva gli arabi in fuga dalle loro case. Shoshani lo ha intervistato nel 2009, poche settimane prima della sua morte. Zettler ha negato che il suo popolo abbia compiuto un massacro nel villaggio, ma non ha risparmiato aneddoti per descrivere il modo in cui i suoi abitanti sono stati uccisi. “Non dirò che abbiamo usati i guanti di velluto”. “Casa dopo casa lanciavamo degli esplosivi facendoli fuggire. Un’esplosione dopo l’altra avanzammo e nel giro di poche ore, metà del villaggio non esisteva più”, ha detto.
Zettler fornì anche un duro resoconto del rogo dei corpi di coloro che furono uccisi, dopo che il villaggio fu occupato. “I nostri ragazzi hanno fatto una serie di errori che mi hanno fatto arrabbiare. Perché l’hanno fatto?” Egli ha detto. “Hanno preso i cadaveri, li hanno ammucchiati e bruciati. Cominciò a sentirsi un odore acre. Non è così semplice”
Un altro duro resoconto fu fornito dal Prof. Mordechai Gichon, tenente colonnello nelle riserve delle Forze di Difesa israeliane, che era un ufficiale dell’intelligence di Haganah inviato a Deir Yassin al termine della battaglia. “A me sembrava un massacro”, ha detto Gichon, che è morto circa un anno fa. “Se stai occupando una posizione militare, anche se uccidi un centinaio di persone in combattimento non è un massacro. Ma se stai entrando in un centro abitato e uccidi molti civili, allora è un massacro”. “Quando i cosacchi irruppero nei quartieri ebraici, quello fu un massacro”.
Gichon ha dichiarato, “ce stata una carneficina considerevole ed è stato difficile per me convincermi che fosse stata compiuta per legittima difesa. La mia impressione è stata più di un massacro che altro. Se si tratta di uccidere civili innocenti, allora non può che essere definito un massacro”.
Yair Tsaban, ex parlamentare eletto nelle liste Meretz e ministro del governo, ha riferito nella sua intervista con Shoshani che dopo il massacro, a cui non ha partecipato, è stato inviato con altri membri delle Brigate della Gioventù per seppellire i corpi dei morti. “La logica era che la Croce Rossa poteva presentarsi in qualsiasi momento ed era necessario nascondere le tracce degli omicidi, perché la divulgazione di immagini e testimonianze su ciò che era accaduto nel villaggio sarebbe stata molto dannosa per l’immagine della nostra guerra d’indipendenza”, ha detto.
“Ho visto un discreto numero di cadaveri”, ha aggiunto. “Non ricordo di aver riconosciuto il cadavere di un solo combattente. Affatto. Ricordo soprattutto donne e uomini anziani”. Tsaban ha testimoniato di aver visto sparare agli abitanti alle spalle e ha respinto le affermazioni di alcuni partecipanti all’azione secondo cui i civili erano stati colpiti durante gli scontri a fuoco. “Un vecchio e una donna, seduti nell’angolo di una stanza con i volti rivolti verso il muro, fucilati alla schiena”, ha ricordato. “Non può essere successo durante la battaglia. È impossibile”.
Il massacro di Deir Yassin ebbe molte ripercussioni. L’agenzia ebraica, i principali rabbini e i capi dell’Haganah lo hanno condannato. La sinistra l’ha usato per accusare la destra. All’estero, è stato paragonato ai crimini nazisti. Inoltre, come osserva lo storico Benny Morris nel suo libro Righteous Victims (vittime innocenti), Deir Yassin ha avuto un profondo effetto demografico e politico: è stato seguito da un esodo di massa di arabi dalle loro terre.
Shoshani si è interessata per la prima volta alla storia di Deir Yassin circa una decina di anni fa, mentre scriveva la sua tesi di laurea presso l’Accademia di arti e design di Bezalel a Gerusalemme, che si concentrava sulla documentazione fotografica dell’ospedale psichiatrico statale di Kfar Shaul, che a sua volta era stato costruito sulle rovine di Deir Yassin dopo la guerra. Seguendo la sua documentazione del luogo così com’è oggi, con i suoi edifici dove avevano vissuto gli abitanti dei villaggi in passato e oggi fanno parte dell’ospedale, cercava anche di trovare immagini storiche del massacro che ha avuto luogo lì 70 anni fa.
Con sua sorpresa, scoprì che il compito non era affatto semplice. Su Internet ci sono foto di cadaveri che sono stati sottotitolati come fotografati a Deir Yassin, ma sono di Sabra e Chatila, dice, riferendosi al massacro del 1982 compiuto da miliziani Cristiani filo-sionisti, di centinaia di residenti nei campi profughi palestinesi in Libano. Nell’archivio dell’IDF mi hanno rilasciato le foto realizzate dagli stessi combattenti di Deir Yassin, mostrando una serie di foto che ritraggono i membri armati di Irgun e Lehi, ma nessuna traccia degli arabi che sono stati uccisi.
All’archivio di Haganah, dove Shoshani continuò la sua ricerca, con l’ingenuità di una bambina, come diceva, un’altra sorpresa l’aspettava. “Un uomo molto anziano mi avvicinò molto silenzioso, mi portò in una stanza attigua e mi disse che aveva fatto delle foto subito dopo il massacro”.
L’uomo era Shraga Peled, 91 anni, che al momento del massacro era nel servizio di informazione di Haganah. Disse a Shoshani che dopo la battaglia fu mandato al villaggio con una macchina fotografica per documentare ciò che era accaduto. “Quando arrivai a Deir Yassin, la prima cosa che vidi fu un grande albero a cui era legato un giovane arabo. L’albero era bruciato. Lo avevano legato all’albero e bruciato. L’ho fotografato”, ha riferito. Afferma anche di aver fotografato da lontano quella che sembrava una dozzina di altri cadaveri raccolti in una cava adiacente al villaggio. Ha consegnato il negativo ai suoi superiori, dice, e da allora non ha più visto le foto.
Forse perché le foto fanno parte del materiale fotografico nascosto fino ad oggi nell’Archivio dell’IDF e del Ministero della Difesa, di cui lo stato proibisce la pubblicazione anche 70 anni dopo il fatto. Shoshani ha presentato un ricorso all’Alta Corte di giustizia circa un decennio fa come parte della sua tesi finale a Bezalel. Anche Haaretz aderì al ricorso.
Lo stato ha spiegato che la pubblicazione delle immagini poteva danneggiare le relazioni estere con altri Stati e la reputazione dei morti. Nel 2010, dopo aver visionato le foto, i giudici della Corte suprema hanno respinto il ricorso, lasciando il materiale secretato. Nel frattempo Shoshani riuscì a trovare altre foto collegate al massacro, tra cui una serie di fotografie che documentavano l’esistenza di bambini orfani i cui genitori erano stati uccisi a Deir Yassin.
Il massacro di Deir Yassin continua a sconvolgere chiunque se ne occupi, anche a distanza di 70 anni. Non tutti sono d’accordo con la descrizione del massacro. Lo storico dottor Uri Milstein, che studia le guerre israeliane, è molto impegnato a diffondere la tesi secondo cui non vi è stato alcun massacro nel villaggio. In molti articoli che ha scritto, afferma che questo è un falso mito e una diffamazione partigiana e che gli arabi sono stati uccisi in battaglia e non in un centro abitato.
“Non credo che qualcuno abbia avuto l’intenzione di andare lì e uccidere i bambini”, dice Shoshani riassumendo il materiale che ha raccolto sulla strage. “Tuttavia”, dice, “questa non è stata una battaglia tra combattenti, ma piuttosto l’improvvisa occupazione di un villaggio, e un confronto con gli abitanti che hanno difeso le loro case con pochi mezzi”. Vi furono anche casi, apparentemente isolati, di esecuzioni sommarie, fucilazioni al termine dei combattimenti, a scopo dissuasivo e per paura.
Il massacro di Deir Yassin fu il primo di una serie di crimini in cui le milizie sioniste furono coinvolte nell’uccisione di civili durante la Guerra d’Indipendenza e anche dopo la fine. Un altro episodio famigerato fu quello di Kafr Qasem nel 1956, il giorno in cui iniziarono i combattimenti nella campagna del Sinai. Quarantotto cittadini arabi israeliani sono stati fucilati dalla polizia di frontiera. Come nel caso di Deir Yassin, lo stato sta ancora censurando i materiali d’archivio di Kafr Qasem.
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org