…quella foto è una istantanea di quanto valiamo, è la cartina al tornasole del sistema che ancora qui la ridicola Unione Europea continua a difendere
Roberto Prinzi 10 aprile 2020
Hanno accatastato cadaveri su cadaveri e li hanno gettati in una enorme fossa comune. Come fossero merci mal riuscite, prodotti di fabbrica difettosi, come pezzi in lamiera affastellati di macchine allo scasso. Le vittime non hanno un nome, sono senza famiglia e senza soldi. Probabilmente morti per o di Covid. Certamente poveri e ai poveri ci puoi pisciare in faccia anche se sono morti. A quelli con il cognome, magari altisonante, l’ingresso qui è severamente proibito. Neanche in morte siamo uguali.
Li hanno seppelliti in fretta e furia lontano dalla New York scintillante, quella degli amori su una panchina di Central Park vicino alle belle querce rosse circondate da grattacieli mozzafiato, distante anni luce da quella megalopoli statunitense “capitale della civiltà occidentale” (è l’11° comandamento con cui cresciamo), dalla Manhattan che ti pompa capitalismo in ogni angolo che se solo ti fermi un attimo rimani folgorato.
Li hanno gettati nella terra che nessuno vuole sul lugubre scoglio a est del Bronx di Hart Island conosciuto dai locali come “Isola dei morti”. Un luogo dove si ammassano da oltre 150 anni tutti i dannati della terra: dai morti ammazzati senza nome, dalle tante vittime dell’Aids degli anni ’80 e poi loro, sempre loro, allora come oggi: i poveri. Perché anche nel 1896 il “decoro urbano” andava combattuto. Si racconta che un tempo i becchini dell’isola fossero detenuti: erano i penultimi della terra che accompagnavano gli ultimi in ciò che restava di vita terrena. Doveva essere pur sempre una faccenda che si dovevano sbrigare i rifiuti umani. L’importante è che nella metropoli che già poneva le basi per dominare il mondo quelle cose non si vedessero, sentissero e uscissero fuori.
“Fosse comune” era una espressione che nel nostro immaginario è sempre stata rivolta solo ai popoli “primitivi da civilizzare” a cui “esportare democrazia”. Sono state recentemente l’Iraq e la Siria dell’Isis. Cose barbare, disgustose. Quante volte ce l’hanno ripetuto i nostri governanti dopo qualche inchiesta di qualche valorosa ong? E quante volte ci siamo domandati: “Ma quanto sono così arretrati. Solo loro possono fare questo!”. Perché, ed è il 12° comandamento con cui siamo cresciuti, qualunque barbarie commessa in giro per il mondo non è mai colpa nostra. E se proprio la vediamo, perché magari il primitivo ce la pone con evidenza, imbarazzati stendiamo il dito e lo puntiamo contro qualcuno di noi al grido: “Mele marce”. Come se una mela nascesse e crescesse da sola e non prendesse linfa vitale dall’albero a cui è legata.
Non si stanno seppellendo solo malati Covid ad Hart Island. Non si stanno solo accatastando poveri senza nome in fretta e furia perché nessuno guardi, perché nessuno parli, perché nessuno capisca su quali basi si poggia la nostra società. Non si stanno solo gettando cadaveri perché serve spazio agli obitori.
Quella foto è una istantanea di quanto valiamo, è la cartina al tornasole del sistema che ancora qui la ridicola Unione Europea continua a difendere in ridicole contrattazioni. In ridicoli discorsi di un premier ancora proteso a difendere quello che il Covid ha palesemente schernito.
E’ la radiografia degli Stati Uniti d’America, il “meglio” tra di noi, i cowboy del pianeta. Gli sceriffi arroganti dell’umanità. I paladini di un mondo che, come la nascita e la diffusione stessa del virus ci ha insegnato, si sta estinguendo.
Immagini liberamente scelte su WEB e inserite nell’articolo.