Dall’inizio del lockdown, almeno cinque donne sono state uccise per mano dei loro violentatori, affermano le attiviste.
Fonte: English version
Farah Najjar -20 aprile 2020
Immagine di copertina: dall’inizio di quest’anno, undici donne sono state uccise a causa della violenza domestica in Palestina, affermano le attiviste[File: Mohamad Torokman / Reuters]
Sbattendo pentole e padelle e agitando striscioni fatti in casa, decine di palestinesi hanno espresso la loro solidarietà alle donne che subiscono varie forme di violenza domestica durante il blocco imposto dalla pandemia di coronavirus.
L’iniziativa di lunedì, che ha visto donne e uomini in piedi davanti alle finestre e sui balconi nei Territori Occupati e nella Palestina storica, mirava a far luce sulla difficile situazione delle donne bloccate in casa con i loro maltrattatori.
Secondo un conteggio effettuato da Tal’at, movimento politico femminista indipendente che ha organizzato la campagna, dall’inizio di quest’anno 11 donne palestinesi sono state uccise a causa della violenza domestica, con cinque casi verificatesi durante l’istituzione del block down all’inizio marzo. Di questi cinque, quattro sono state uccise con armi da fuoco.
L’attivista di Tal’at Soheir Asaad ha detto che mentre a molte donne la parola “quarantena” suggerisce l’idea di essere al sicuro a casa, per altre significa “l’inferno”.
“Significa vivere con qualcuno che potrebbe porre fine alla tua vita”, ha detto Assad ad Al Jazeera da Haifa, descrivendo la realtà affrontata da alcune donne durante il blocco.
يوم الاثنين الساعة السابعة مساءً، سنقرع طنجرة\نرفع لافتة من شرفات وشبابيك منازلنا لأجل كل من تعيش تعنيف وترويع.
خلال النشاط، بامكانك ان اردتِ ان تتصوري وان تنشري الصورة مع هاشتاغ #طالعات و #ضجة_بدل_الصمت ومع اشارة\تاغ لصفحة "وطن حر، نساء حرّة". pic.twitter.com/Q6W0KwMnxv— #طالعات: نساء حرة = وطن حر (@tal3at_sept26) 18 aprile 2020
Assiwar, una ONG di supporto femminile, afferma che il numero di chiamate ricevute nelle ultime settimane è aumentato del 30 percento, non considerando il grande numero di messaggi che arrivano sulle sue piattaforme social. Altri gruppi riportano simili incrementi, con la Palestinian Working Women Society for Development (PWWSD) che afferma che tra il 22 marzo e il 15 aprile la sua hotline di consulenza ha ricevuto 924 chiamate.
Lamia Naamneh, responsabile di Assiwar e attivista per i diritti delle donne da oltre 20 anni, ha affermato che la maggior parte delle richieste di aiuto provengono da donne che hanno ricevuto minacce di morte.
“Proprio ieri, una chiamata ci ha ricondotto a una donna che poteva parlare con noi solo tramite Messenger “, ha detto Naamneh ad Al Jazeera lunedì.
“Ha detto di essere stata minacciata, picchiata e abbiamo dovuto mandare la polizia per farla trasferire in una casa sicura”, ha detto.
Naamneh ha aggiunto che a seguito del lockdown c’è stata anche un’ondata di casi di violenza sessuale e di abusi domestici sui bambini
Allo stesso tempo, si teme che molti casi di violenza domestica non vengano denunciati.
“La paura è la più grande barriera cui devono far fronte le donne maltrattate . Paura di essere ostracizzate, escluse, abbandonate, di non essere brave madri o figlie”, ha dichiarato Amany Khalifa, un’assistente sociale che ha partecipato alla campagna di lunedì.
La situazione diventa ancora più difficile quando le autorità non lavorano per proteggere le donne, ha detto ad Al Jazeera dalla Gerusalemme Est occupata.
“Non possiamo chiedere a un’istituzione intrinsecamente violenta di cambiare la realtà delle donne palestinesi”.
In alcune aree della Cisgiordania è normale che i casi siano sottostimati, come ad esempio nell’Area C, che è sotto il pieno controllo militare israeliano. Questo perché in queste aree è difficile per la polizia raggiungere le case, denuncia la coordinatrice del PWWSD Futna Khalifa, citando i posti di blocco che ostacolano il movimento dei palestinesi.
“Molte famiglie palestinesi vivono in piccoli appartamenti e i piccoli spazi possono aumentare le possibilità di attrito e conflitto tra marito e moglie”, ha detto Khalifa.
“Questo è particolarmente vero per quelle donne che hanno già subito abusi prima del blocco. Ciò che potrebbe essere stato un abuso psicologico, durante questo periodo potrebbe diventare una forma di abuso fisico.”
“Mettere in discussione la sfera pubblica”
Mentre molte donne in tutto il mondo condividono realtà simili, gli abusi sono particolarmente complessi e sistematici per le donne palestinesi, ha detto Asaad di Tal’at. Le donne palestinesi vivono in “frammentazione” e subiscono anche le varie conseguenze dell’occupazione israeliana, ha aggiunto.
“La realtà in ci vivono le donne palestinesi è unica”, ha osservato Assad.
Tal’at, che si traduce “ascesa”, è nata nel settembre dello scorso anno in seguito all’assassinio della 21enne Israa Gharib nella Cisgiordania occupata. L’associazione si è prefissa di incoraggiare un dibattito in cui si parla di violenza contro le donne palestinesi nel contesto della “liberazione politica e nazionale palestinese”.
“Intendiamo la violenza come un’ingiustizia sociale, economica e politica contro le donne, non solo come violenza domestica”, ha affermato Assad. “Questi aspetti hanno influenzato il modo in cui viviamo la violenza, la nostra capacità di resistere e persino di parlarne”.
Accanto alle rigide misure in atto a causa della pandemia, la situazione è aggravata dalle pressioni dell’occupazione israeliana, dalla sottomissione economica e dall’apatia politica, affermano le attiviste.
“Questo è il motivo per cui abbiamo voluto creare uno spazio in cui incoraggiare le donne palestinesi a far parte del nostro movimento”, ha detto Assad rispetto all’ iniziativa di lunedì. “Se non possiamo scendere per strada … resteremo nelle nostre case ma non saremo messe a tacere”.
Khalifa concorda. “È molto importante che nella sfera pubblica si levi una voce che la metta in discussione, la vita non può continuare nello stesso modo mentre c’è questa enorme presenza di violenza contro le nostre donne”.
E ha aggiunto: “Dobbiamo renderci conto che la violenza coloniale e la violenza patriarcale sono collegate”.
‘La casa non è uno spazio sicuro’
In Israele ci sono solo due case sicure riservate alle donne palestinesi, il che si traduce in una costante mancanza di spazio per accogliere le nuove arrivate.
Ciò che complica ulteriormente la situazione in questi giorni è che le ONG come Assiwar devono prima assicurarsi che le nuove arrivate non siano portatrici del coronavirus. Spesso, queste donne devono rimanere in hotel per 14 giorni a proprie spese, un lusso che la maggior parte di loro non può permettersi.
“Siamo fortunate che le amiche che sostengono il nostro lavoro abbiano in diverse occasioni accolto queste donne”, ha detto Naamneh, aggiungendo che alcune donne, dopo non essere state ammesse nelle case sicure , “finiscono per strada”
Nel frattempo, molti palestinesi che lavorano in Israele nel settore dei servizi hanno nelle ultime settimane perso il lavoro , il che ha peggiorato una situazione economica già disastrosa.
Pur essendo confinati nelle loro case, molti tendono a sfogare la loro frustrazione sulle donne vulnerabili che rimangono senza rifugio durante il blocco, ha detto Khalifa.
“La violenza viene spesso praticata quando l’assalitore è frustrato, e si manifesta sotto forma di abuso”, ha detto. “Ecco perché le case non sono uno spazio sicuro per molte donne”.
A peggiorare le cose è il fatto che la polizia israeliana non presta attenzione alle comunità palestinesi, ha detto Naamneh.
“Quando l’occupazione non dà priorità alla nostra sicurezza, è facile uccidere quando ci si trova in un ambiente non sicuro.”
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org