I palestinesi di Saffuriya sono stati espulsi con la forza e impedito di tornare nel corso del 1948, dovendo abbandonare antichi ulivi che oggi sono curati dagli ebrei israeliani.
Di Meron Rapoport – 28 Aprile 2020
La scorsa settimana, il mio collega Edo Konrad ha pubblicato un articolo rivelando che, in onore del Memorial Day di Israele, il Ministero della Difesa aveva deciso di consegnare alle famiglie israeliane in lutto bottiglie di olio d’oliva prodotte in un insediamento nella Cisgiordania occupata.
L’olio d’oliva è prodotto da Meshek Achiya, una azienda situata nel cuore dei territori occupati a circa 45 chilometri a nord di Gerusalemme, fondata nel 1997 nell’avamposto di Achiya. Come Dror Etkes, un esperto in attività di insediamento, spiegò a Konrad, Meshek Achiya era uno dei sei avamposti stabiliti a ovest dell’insediamento di Shiloh al fine di saccheggiare terre e proprietà private Palestinesi.
Dopo la pubblicazione dell’articolo, numerose famiglie in lutto hanno lanciato una petizione chiedendo al Ministero della Difesa di riprendersi l’olio donato.
Durante il fine settimana, “Haaretz Magazine” ha pubblicato un articolo sugli israeliani che coltivano ulivi secolari in Galilea, nel nord di Israele. L’articolo si concentra sulla famiglia Noy-Meir, che ha coltivato “centinaia di questi alberi secolari”, molti dei quali hanno un’età compresa tra i 200 e gli 800 anni, su terreni adiacenti a Moshav Tzippori nella bassa Galilea. L’olio d’oliva prodotto dall’azienda di Noy-Meir, Rish Lakish, ha ricevuto elogi da Ronit Vered, autore dell’articolo e critico gastronomico di Haaretz.
Ma come fanno alberi così antichi ad essere della famiglia Noy-Meir, che si stabilì a Tzippori solo 20 anni fa? Nell’articolo non viene fornito alcun contesto storico per spiegare l’esistenza di questi alberi, che, scrive Vered, “si estendono su una vasta area e si trovano in terreni difficili per la coltivazione e la raccolta”.
Non è necessario essere un arborista per avere una risposta: Moshav Tzippori si trova su un terreno appartenente al villaggio palestinese epurato e distrutto di Saffuriya.
Secondo Palestine Remembered, un sito web dedicato alla conservazione della memoria degli oltre 400 villaggi palestinesi distrutti durante la Nakba, Saffuriya era una comunità relativamente grande con oltre 5.000 residenti nel 1948. L’area intorno al villaggio, secondo il libro di Walid Khalidi “Tutto ciò che rimane”, era “fornita di fertili terreni e risorse idriche di superficie e sotterranee”, con le olive che costituivano il “raccolto principale” del villaggio.
Saffuriya fu conquistata dalle forze israeliane il 15 luglio 1948. Secondo i residenti del villaggio, solo una minoranza di persone rimase nel villaggio dopo che fu bombardato dalle forze aeree israeliane, e pochissimi furono in grado di tornare e recuperare le loro proprietà.
Nel suo libro “La nascita del problema dei rifugiati palestinesi”, che ha reso pubblica la documentazione precedentemente occultata negli archivi statali israeliani (e cui fa riferimento Khalidi), lo storico israeliano Benny Morris scrive che coloro che rimasero a Saffuriya furono espulsi nel 1948, ma che “centinaia ritornarono nei mesi seguenti”.
Le autorità israeliane, ha scritto Morris, temevano che se ai palestinesi ritornati fosse stato permesso di rimanere, il villaggio sarebbe “presto tornato alla sua popolazione anteguerra”. A quel tempo, i vicini insediamenti ebraici “bramavano già le terre di Saffuriya”.
Secondo Morris, un alto funzionario israeliano dichiarò nel novembre del 1948: “Accanto a Nazareth c’è un villaggio le cui estese terre sono necessarie per i nostri insediamenti. Forse si può dare loro un altro posto. Poco dopo, “gli abitanti sono stati caricati su camion nel gennaio 1949 ed espulsi di nuovo nelle comunità arabe di ILLUT, Al-Rayna e Kafr Kanna”.
In breve, le “centinaia di ulivi secolari” non sono comparsi dal nulla. I residenti palestinesi di Saffuriya li hanno piantati e coltivati per secoli. Gli alberi gli sono stati rubati con la forza. Lo stato ha affittato quegli alberi dopo aver rivendicato la terra del villaggio come propria. Parte di quella terra fa ora parte di una foresta artificiale creata dal Fondo nazionale ebraico.
A proprio merito, la famiglia Noy-Meir si è occupata di aiutare i coltivatori di olive palestinesi in Cisgiordania e stanno lavorando a fianco dei palestinesi le cui famiglie sono state sradicate da Saffuriya. Eppure, ignorare la storia del villaggio, come ha fatto l’articolo di Haaretz, non è peggio che ignorare la terra rubata su cui Meshek Achiya produce il suo olio d’oliva in Cisgiordania.
Taha Muhammad Ali, il famoso poeta palestinese, è nato ed espulso da Saffuriya. La famiglia di Mohammad Barakeh, il politico che dirige l’Alto comitato di controllo per i cittadini arabi di Israele, è stato sradicato dal villaggio. Saffuriya può essere sparito, ma la sua memoria vive.
Appartengo al movimento israelo-palestinese, Two States, One Homeland, che propone che ogni israeliano 30palestinese ed ebreo possa vivere ovunque desideri tra il fiume e il mare, sia nello stato di Israele che nello stato di Palestina. I rifugiati che torneranno saranno cittadini della Palestina, ma possono vivere come residenti con pieni diritti in Israele, proprio come i cittadini israeliani possono vivere come residenti con pieni diritti in Palestina. Una confederazione istituirebbe un meccanismo per facilitare il ritorno e / o offrire un risarcimento finanziario per beni espropriati durante il conflitto.
Non abbiamo un futuro qui se neghiamo ciò che è accaduto nel 1948, fingendo che il conflitto sia iniziato solo con l’occupazione del 1967, o no?
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org