Israele non ha bisogno di un “monito” contro l’annessione, ma di “sanzioni”

Copertina: Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu con il cancelliere tedesco Angela Merkel presso l’hotel King David a Gerusalemme il 25 febbraio 2014. (Miriam Alster / FLASH90)

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Mezzo secolo di occupazione è un tempo sufficiente per stati potenti come la Germania per imparare che la retorica senza azione rafforza semplicemente l’impunità israeliana.

Di Hagai El-Ad – 30 Aprile 2020

Nella riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite della scorsa settimana sulla situazione in Medio Oriente, l’ambasciatore tedesco Jürgen Schulz ha espresso ciò che poteva sembrare un “forte monito”, a seguito della notizia dell’accordo di governo tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo rivale Benny Gantz, che si è impegnato a procedere con l’annessione della Cisgiordania a partire dal 1° luglio.

“Consigliamo vivamente qualsiasi governo israeliano contro l’annessione dei territori palestinesi occupati”, ha affermato l’ambasciatore. “Ciò costituirebbe una chiara violazione del diritto internazionale e non solo avrebbe gravi ripercussioni negative sulla fattibilità della soluzione a due stati e sull’intero processo di pace, ma potenzialmente anche per la stabilità regionale e la posizione di Israele all’interno della comunità internazionale”.

Perché definirlo erroneamente, e non sinceramente, forte? In breve: perché questo “monito” non era, e non è mai stato, sostenuto da un’azione concreta. Se “una chiara violazione del diritto internazionale” non viene perseguita e se i responsabili non sono tenuti a rendere conto, quale impatto hanno tali parole?

Dopo questa audace e vuota dichiarazione, la Germania ha ribadito la sua posizione secondo cui “le attività di insediamento israeliano nei territori palestinesi occupati sono illegali ai sensi del diritto internazionale”. Eppure, queste attività di insediamento sono proseguite senza ostacoli per oltre mezzo secolo, Berlino ha avuto molto tempo per capire che il suo “avvertimento”, non importa quanto severamente pronunciato, non esercita nessuna influenza su Gerusalemme.

Josep Borrell, Alto rappresentante e Vicepresidente dell’Unione europea, ha riconosciuto questo punto quando ha dichiarato in febbraio che “gli europei devono affrontare il mondo così com’è, non come dovrebbe essere”, che a sua volta richiede di utilizzare un linguaggio persuasivo.

Certamente la Germania, uno dei principali attori politici europei, potrebbe esercitare tale potere se lo desidera. Ma quando si tratta di difendere i diritti dei palestinesi, la Germania rifiuta di affrontare “il mondo così com’è”.

Israele sa tutto questo fin troppo bene, e quindi può tranquillamente trascurare l’avvertimento della Germania, pur continuando ad opprimere un intero popolo.

I palestinesi si scontrano con le forze di sicurezza israeliane durante una protesta contro il piano di pace in Medio Oriente del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, nella Valle del Giordano, in Cisgiordania, il 25 febbraio 2020. (Nasser Ishtayeh / Flash90)

L’inazione su questo fronte è piuttosto sorprendente dato che la Germania ha recentemente dimostrato di poter dispiegare il suo considerevole peso se lo volesse. Quando i giudici della Corte penale internazionale hanno invitato le parti a presentare le loro opinioni sulla giurisdizione del tribunale nello Stato di Palestina, la Germania era uno dei pochi Stati ad opporsi alla giurisdizione della CPI.

Nelle sue osservazioni, la Germania si è dichiarata, a parole, “un fervente sostenitore della lotta contro l’impunità”. Eppure, la Germania ha deciso di sostenere che la CPI non ha “la competenza giurisdizionale” perché lo stato della Palestina non è “sovrano”. Non importa che questo requisito non si trovi da nessuna parte nello Statuto di Roma, né che il procuratore capo Fatou Bensouda ha rivendicato una cosa del genere. I palestinesi, ovviamente, devono ancora ottenere la sovranità, proprio perché Israele ha occupato la loro terra. Eppure, con la sua non argomentazione, la Germania ha insistito per opporsi a un’indagine.

Se fosse stata solo una questione tecnica di giurisdizione a fermare la Germania, avrebbe potuto sfruttare la sua posizione di membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU per almeno provare a deferire il caso della Palestina alla CPI al fine di garantire la giurisdizione del tribunale, un processo che è consentito dalla CPI. Sicuramente “un fervente sostenitore della lotta contro l’impunità” avrebbe usato il suo potere per sostenere il diritto internazionale. Invece, la Germania ha scelto di riaffermare, ancora una volta, che gli insediamenti sono illegali, e solo a parole, ancora una volta, il presunto sostegno alla responsabilità.

Di fronte alle interminabili violazioni israeliane, la Germania mantiene il suo “potere” notevolmente inutilizzato. Questo potere ha molte forme, di cui la CPI è solo uno, ma la Germania ha deciso di non usarlo se non per vuota retorica. Nel frattempo, Israele continua a strappare le fondamenta del diritto internazionale davanti agli occhi del mondo, compresa la Germania. Affermare all’infinito che qualcosa non va senza agire per porvi fine non è un “monito”, è complicità.

Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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