100 anni di Vergogna: l’annessione della Palestina a Sanremo

Copertina: I palestinesi si riuniscono per protestare contro i 100 anni dalla Dichiarazione Balfour del 2 novembre 2017 [Mohammed Asad / Middle East Monitor]

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Cento anni fa, rappresentanti di alcuni potenti paesi si riunirono in una tranquilla cittadina della Riviera italiana per suggellare il destino dei vasti territori confiscati all’Impero ottomano dopo la sua sconfitta nella prima guerra mondiale.

Di Ramzy Baroud – 6 Maggio 2020

Cento anni fa, rappresentanti di alcuni potenti paesi si riunirono a Sanremo, una tranquilla città della riviera italiana. Insieme, hanno suggellato il destino dei vasti territori confiscati all’impero ottomano dopo la sua sconfitta nella prima guerra mondiale.

Fu il 25 aprile 1920 che la Risoluzione della Conferenza di Sanremo fu approvata dal Consiglio supremo alleato dopo la prima guerra mondiale. I mandati occidentali furono stabiliti sulla Palestina, la Siria e la Mesopotamia’, in Iraq. Gli ultimi due erano teoricamente designati per l’indipendenza provvisoria, mentre la Palestina è stata concessa al movimento sionista per stabilire lì una patria ebraica.

“Il Mandato sarà responsabile dell’attuazione della dichiarazione di Balfour, originariamente fatta l’8 novembre 1917 dal governo britannico, e adottata dalle altre potenze alleate, a favore dell’istituzione in Palestina di una casa nazionale per il popolo ebraico, cita la Risoluzione.

La Risoluzione ha dato un maggiore riconoscimento internazionale alla decisione unilaterale della Gran Bretagna, tre anni prima, di concedere la Palestina alla Federazione sionista allo scopo di stabilire una patria ebraica, in cambio del sostegno sionista della Gran Bretagna durante la Grande Guerra.

E, come per la Dichiarazione di Balfour della Gran Bretagna, è stata fatta una breve menzione degli sfortunati abitanti della Palestina, la cui patria storica è stata ingiustamente confiscata e consegnata ai coloni.

La creazione di tale Stato ebraico, secondo la Risoluzione di Sanremo, imperniato su qualche vaga “intesa” che “nulla deve essere fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina”.

L’aggiunta di cui sopra servì solo come un misero tentativo di apparire politicamente equilibrato, mentre in realtà non è mai stato istituito alcun meccanismo di esecuzione per garantire che l’intesa sia mai stata rispettata o attuata.

Infatti, si potrebbe sostenere che il lungo impegno dell’Occidente nella questione di Israele e della Palestina ha seguito lo stesso modello di Sanremo: dove al movimento sionista (e alla fine a Israele) sono concessi i suoi obiettivi politici sulla base di condizioni inapplicabili che non vengono mai rispettate o attuate.

Da notare come la stragrande maggioranza delle Risoluzioni delle Nazioni Unite relative ai diritti palestinesi siano storicamente approvate dall’assemblea Generale, non dal Consiglio di sicurezza, dove gli Stati Uniti sono uno dei cinque stati con potere di veto, sempre pronto ad reprimere ogni tentativo di far rispettare il diritto internazionale.

È questa dualità storica che ha portato all’attuale situazione di stallo politico.

Le leadership palestinesi, una dopo l’altra, hanno miseramente fallito nel cambiarne l’opprimente modello. Decenni prima dell’istituzione dell’Autorità palestinese, innumerevoli delegazioni, comprese quelle che sostenevano di rappresentare il popolo palestinese, viaggiarono in Europa, appellandosi a un governo o a un altro, invocando la causa palestinese e chiedendo giustizia.

Cos’è cambiato da allora?

Il 20 febbraio, l’amministrazione Donald Trump ha pubblicato la propria versione della Dichiarazione Balfour, definita “Affare del secolo”.

La decisione americana che, ancora una volta, ha infranto il diritto internazionale, apre la strada a ulteriori annessioni coloniali israeliane della Palestina occupata. Minaccia spudoratamente i palestinesi che, se non cooperano, saranno puniti severamente. In realtà, lo sono già stati, quando Washington ha tagliato tutti i finanziamenti all’Autorità palestinese e alle istituzioni internazionali che forniscono un aiuto fondamentale ai palestinesi.

Come nella Conferenza di Sanremo, nella Dichiarazione di Balfour e in numerosi altri documenti, a Israele è stato chiesto, sempre educatamente, ma senza alcun piano per far rispettare tali richieste, di concedere ai palestinesi alcuni gesti simbolici di libertà e indipendenza.

Alcuni possono sostenere, e giustamente, che l’Affare del Secolo e la Risoluzione della Conferenza di Sanremo non sono identici nel senso che la decisione di Trump era unilaterale, mentre a Sanremo è stato il risultato del consenso politico tra i vari paesi, Gran Bretagna, Francia, Italia e altri.

È vero, ma bisogna tener conto di due punti importanti: in primo luogo, la dichiarazione di Balfour è stata anch’essa una decisione unilaterale. Ci sono voluti tre anni agli alleati britannici per accettare e convalidare la decisione illegale presa da Londra di concedere la Palestina ai sionisti. La domanda ora è: quanto tempo ci vorrà perché l’Europa rivendichi l’Affare del Secolo come proprio?

In secondo luogo, lo spirito di tutte queste dichiarazioni, promesse, risoluzioni e “accordi” è lo stesso, dove le superpotenze decidono in virtù della loro potente influenza di riorganizzare i diritti storici delle nazioni. In qualche modo, il colonialismo di un tempo non è mai veramente morto.

L’Autorità palestinese, come le precedenti autorità palestinesi, viene presentata con il proverbiale bastone e la carota. Lo scorso marzo, il genero del presidente americano Donald Trump, Jared Kushner, ha detto ai palestinesi che se non fossero tornati ai negoziati (inesistenti) con Israele, Gli Stati Uniti sosterrebbero l’annessione israeliana della Cisgiordania.

Ormai da quasi tre decenni e, certamente, dalla firma degli accordi di Oslo nel settembre 1993, l’Autorità Palestinese ha scelto la carota. Ora che gli Stati Uniti hanno deciso di cambiare del tutto le regole del gioco, l’autorità di Mahmoud Abbas sta affrontando la sua più grave minaccia esistenziale: inchinarsi a Kushner o insistere per tornare a un modello politico nato morto, quindi abbandonato da Washington.

La crisi all’interno della leadership palestinese è accolta chiaramente con soddisfazione da parte di Israele. Il nuovo governo di coalizione israeliano, composto dagli ex rivali, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, ha provvisoriamente concordato che l’annessione di gran parte della Cisgiordania e della Valle del Giordano è solo una questione di tempo. Stanno solo aspettando il via libera statunitense.

È improbabile che aspettino a lungo, poiché il Segretario di Stato, Mike Pompeo, ha dichiarato il 22 aprile che l’annessione dei territori palestinesi è “una decisione israeliana”.

Francamente, poco importa. La Dichiarazione di Balfour del 21° secolo è già stata realizzata; si tratta solo di farne la nuova realtà incontestata.

Forse è tempo che la leadership palestinese capisca che strisciare ai piedi di chi ha ereditato la Risoluzione di Sanremo, realizzando e sostenendo il colonialismo Israeliano, non è mai stata e non sarà mai la risposta.

Forse è ora di ripensarci seriamente.

Ramzy Baroud è giornalista ed editore di The Palestine Chronicle.  È autore di cinque libri. Il suo ultimo è “Queste catene saranno spezzate: storie palestinesi di lotta e sfida nelle carceri israeliane” (Clarity Press, Atlanta). Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA), Istanbul Zaim University (IZU). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net

Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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