Le donne palestinesi incarcerate vengono denigrate per aver trascurato il loro ruolo “tradizionale” e vengono loro negate le cure psicologiche.
Fonte : English version
Samah Jabr – 29 maggio 2020
Immagine di copertina: donne palestinesi protestano a sostegno dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, a nord della città di Ramallah in Cisgiordania nel 2017 (AFP)
Nel suo libro “L’An V de la Révolution Algérienne” Frantz Fanon descrive la mentalità coloniale francese in Algeria: “Se vogliamo distruggere la struttura della società algerina, la sua capacità di resistenza, dobbiamo prima di tutto conquistare le donne; dobbiamo andarle a trovare dietro il velo in cui si nascondono e nelle case dove gli uomini le tengono celate. ”
In Palestina, l’oppressione israeliana ha un impatto diverso sugli uomini e sulle donne. Gli uomini sono esposti alla violenza legata all’occupazione a causa della loro maggiore presenza nella sfera pubblica, mentre le donne vengono prese di mira in altri modi. L’oppressione e il colonialismo aggravano le disparità di genere pre-esistenti, poiché la violenza politica incoraggia un atteggiamento “protettivo” che impedisce alle donne di partecipare alla vita della comunità.
L’occupazione mina la mascolinità degli uomini palestinesi umiliandoli e sminuendoli. Un uomo la cui dignità viene umiliata ad un posto di blocco può facilmente spostare il senso di sconfitta su chi è più debole di lui, spesso la donna che è a casa.
Incitamento al disprezzo
Il pervasivo impoverimento delle famiglie sotto occupazione e il senso di un futuro cupo favoriscono il matrimonio precoce per le ragazze e l’abbandono scolastico per i ragazzi.
Mentre il tasso di natalità palestinese sale, le donne vengono insultate dai politici israeliani che descrivono i loro uteri come bombe demografiche a tempo. Questo pregiudizio arriva ad impedire l’accesso agli ospedali delle donne in gravidanza, costringendole a partorire ai posti di blocco, con tragici tassi di mortalità sia per i neonati che per le loro madri, così come riportato da Lancet.
Commentare l’onore e il ruolo “naturale” delle donne, rafforza gli iniqui stereotipi di genere e dissuade le donne dal partecipare all’azione politica.
Le tattiche di genere sono anche comunemente usate per screditare le attiviste palestinesi, privandole della loro femminilità e posizione sociale e incoraggiando gli uomini a disprezzarle.
Un post su Facebook del 2018 di un portavoce dell’esercito israeliano di occupazione, ad esempio, riportava il seguente messaggio accanto a una foto di una manifestante di Gaza: “La donna brava è la donna d’onore, che si prende cura della sua casa e dei suoi figli, e serve da buon esempio per loro. Invece, la donna priva di onore non si prende cura di queste cose, agisce selvaggiamente contro la sua natura femminile e non si preoccupa di come viene vista nella società. ”
Commentare l’onore e il ruolo “naturale” delle donne rafforza gli iniqui stereotipi di genere e scoraggia le donne dal partecipare all’azione politica. Si ricorda quindi alla società e alle famiglie di contenere le donne entro i ruoli “tradizionali” per proteggerle dalla violenza e dagli abusi.
Prigioniere politiche
La discrepanza di genere tuttavia è forse ancor più evidente nell’esperienza delle prigioniere politiche. Lavoro con ex prigioniere per fornire loro assistenza psicologica e legale, e il contatto con loro mi ha insegnato molto su come il sistema militare israeliano usa tattiche di genere e allusioni a tabù culturali per esercitare pressione sulle donne prigioniere e sulla più ampia società palestinese.
Durante decenni di occupazione israeliana, migliaia di donne palestinesi sono state arrestate; come gli uomini, sono incarcerate per il loro attivismo, o detenute per esercitare pressioni sui parenti attivisti. A volte, le urla di una donna sotto “interrogatorio” sono usate per costringere il fratello, il marito o il figlio a confessare.
L’estate scorsa, Mais Abu Ghosh, una studentessa universitaria, è stato torturata per un mese; quando i suoi genitori furono portati al centro di interrogatorio, non la riconobbero. Perquisizioni effettuate denudando la persona, scambio di assorbenti e di carta igienica per ottenere informazioni, sono pratiche comuni a cui sono state sottoposte molte donne prigioniere.
Spesso detenute al di fuori del territorio occupato nel 1967, in violazione dell’articolo 76 della Quarta Convenzione di Ginevra , le donne incarcerate soffrono soprattutto della distruzione dei loro legami sociali. Ai loro parenti vengono spesso negati i permessi necessari per visitarle.
‘Ho paura’
Alle detenute viene negato l’aiuto psicologico anche nel momento in cui ne avrebbero più bisogno. Nel gennaio 2018, Israa Jaabis, una madre palestinese di Gerusalemme accusata di tentato omicidio dopo che nel 2015 la sua auto era esplosa vicino a un checkpoint israeliano, scrisse una dolorosa lettera lamentando che le autorità carcerarie le impedivano di vedere suo figlio ed esprimendo un grande bisogno di aiuto psicologico .
“Ho paura quando guardo il mio viso allo specchio, quindi immagina cosa devono provare gli altri quando mi guardano”, scrisse , osservando che i suoi bisogni medici e psicologici erano stati trascurati, nonostante le regole delle Nazioni Unite affermino che le autorità carcerarie “devono assicurarsi che le detenute abbiano accesso immediato a supporto psicologico specializzato o a consulenza ”.
Le detenute soffrono anche per ciò che avviene fuori dal carcere. Ogni volta che un uomo viene imprigionato, molto spesso c’è una donna della famiglia che compensa la sua assenza; ma quando una donna finisce in carcere, la sua maternità viene messa in discussione e suo marito preme per trovare una nuova moglie che diventi “una madre per i suoi figli”.
Anche se non pronunciato apertamente, l’opinione corrente è che una donna prigioniera è riprovevole per aver lasciato indietro i suoi figli. Un totale silenzio inoltre circonda la possibilità che sia stata aggredita sessualmente mentre era in custodia.
Mentre dopo essere stati rilasciati dal carcere, gli uomini palestinesi sono generalmente glorificati, le donne nella stessa situazione devono affrontare ulteriori difficoltà per trovare un lavoro, trovare un partner e assumere un ruolo attivo in una società sempre più “protettiva”.
Violenza strutturale
L’oppressione in Palestina ha molti fronti, attraverso i quali la violenza strutturale e la repressione politica ostacolano la libertà e le libertà delle persone. Nel loro viaggio verso la liberazione le donne, in particolare le attiviste e le ex detenute, affrontano una moltitudine di lotte intersecanti.
Una maggiore flessibilità nei ruoli di genere aumenterebbe la resilienza dei palestinesi di fronte al trauma, liberando le donne dalla loro prigione interna.
I movimenti femministi hanno fino ad ora evitato di battersi per i diritti delle prigioniere palestinesi, ma sono questi centri di potere che possono esporre le dimensioni di genere dell’occupazione in Palestina e garantire che queste disuguaglianze e questi sistemi di oppressione non vengano trascurati.
I palestinesi dovrebbero sfidare tali dinamiche, che indeboliscono la nostra capacità di resistere all’occupazione e ci soggiogano ulteriormente. Il genere divide il potere. La mancanza di influenza delle donne contribuisce al colonialismo e ad altre relazioni di potere su base etnica.
Una maggiore flessibilità nei ruoli di genere aumenterebbe la capacità di resistenza dei palestinesi di fronte al trauma, liberando le donne dalla loro prigione interna in modo che possano diventare agenti attivi di cambiamento e resistenza.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.
Samah Jabr è una psichiatra e psicoterapeuta di Gerusalemme che, oltre che di malattie mentali, si occupa del benessere della sua comunità.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org