Riscatto e Diritto al Ritorno Palestinese: Due Facce della Stessa Sanguinosa Moneta

Sia in Israele che negli Stati Uniti, il dibattito sul riscatto e il diritto al ritorno palestinese è smorzato da argomenti che spiegano perché l’ingiustizia debba continuare e dal desiderio di non cambiare l’attuale situazione.

 

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Di Miko Peled – 22 Giugno 2020

Le invocazioni “Black Lives Matter” e “Free, Free Palestine” servono a ricordarci che la Palestina non è libera e che se la vita degli Afroamericani contasse, non ci sarebbe bisogno di protestare. In entrambi i casi, le persone sono alle prese con un sistema crudele e razzista che si rifiuta di cedere il passo all’evoluzione. In entrambi i casi, le persone vengono braccate, imprigionate, strangolate e uccise a colpi di pistola, e la causa principale della loro sofferenza viene raramente affrontata.

In Palestina, il ritorno dei rifugiati è la questione che ha la capacità di modificare completamente il dibattito e, infine, di rendere giustizia ai palestinesi. Tuttavia pochi sono disposti a parlarne, tanto meno a discuterne seriamente. In America, la questione delle riparazioni ai discendenti degli schiavi è probabilmente la questione che indurrà un dibattito onesto e fornirà qualche parvenza di giustizia per gli Afroamericani, anche se ancora raramente preso in considerazione nei forum pubblici.

Le persone sono troppo educate? È la paura di far sentire qualcuno a disagio, o è che le persone hanno rinunciato? Cos’è che impedisce alle discussioni su queste importanti questioni fondamentali di irrompere nel dibattito pubblico?

In Palestina, la legittimazione percepita del regime israeliano e la vasta portata della macchina della propaganda sionista, o Hasbara, impediscono che la questione venga sollevata. Negli Stati Uniti, la mancanza di un vero dibattito sugli orrori e l’eredità della schiavitù sta impedendo la vera emancipazione degli Afroamericani. Le persone in genere non sono consapevoli della quantità di ricchezza che gli Stati Uniti hanno accumulato sulle spalle degli schiavi africani, né sono consapevoli della necessità di risarcire i discendenti degli schiavi attraverso il riscatto.

Barack Obama alla “Porta del non ritorno”, nella casa degli schiavi sull’isola di Goree, in Senegal, dove gli schiavi venivano spediti nelle Americhe. Rebecca Blackwell | AP

Secondo un articolo intitolato “Perché abbiamo bisogno di riscatto per gli afroamericani” di Rashawn Ray e Andre M. Perry, pubblicato in Brookings Policy 2020, “l’argomentazione delle riparazioni può essere presentata su basi economiche, sociali e morali”. L’articolo continua: “Gli Stati Uniti hanno avuto molteplici opportunità di espiare la schiavitù ma non hanno ancora intrapreso azioni significative”. Continua dichiarando che, “gli Afroamericani sono l’unico gruppo che non ha ricevuto giustizia per la discriminazione razziale sancita dallo stato”.

Nel numero di giugno 2014 di The Atlantic, Ta-Nehisi Coates ha scritto che “l’America inizia con il saccheggio nero e la democrazia bianca, due caratteristiche che non sono contraddittorie ma complementari”. E, aggiunge, che “la legislazione americana ha legiferato per ridurre gli Afroamericani a una classe di oppressi ed elevare tutti gli uomini bianchi a livello di cittadini”.

Una casa costruita dagli schiavi

Quando Michelle Obama ha parlato di fronte al Convegno Nazionale Democratico nel 2016, il suo discorso ha suscitato clamore. Ciò che attirò l’attenzione generale fu la sua dichiarazione: “Mi sveglio ogni mattina in una casa costruita dagli schiavi.” Le famiglie di quegli schiavi non sono ancora state compensate per il loro lavoro”, eppure, ha aggiunto,” questa adesso è la più grande nazione del mondo”. Dal momento che tale ingiustizia è autorizzata a continuare, ci si chiede dove esattamente lei veda questa “grandezza.”

Nel giugno 2016 ha tenuto un discorso di apertura al City College di New York. Anche in quel caso, descrisse la sensazione di vivere “in una casa costruita dagli schiavi”, e di come vede le sue figlie andare a scuola ogni giorno, “salutando il padre, il presidente degli Stati Uniti”. Ma né lei né suo marito, il primo presidente Afroamericano degli Stati Uniti, hanno visto la necessità di trovare i discendenti degli schiavi che hanno costruito la Casa Bianca e ricompensarli.

Chi e come

Non è raro che le persone sottolineino la complessità di una determinata situazione per evitare iniziative. Ci sono questioni complesse che devono essere risolte, come quello che un pacchetto di riparazioni dovrebbe includere e chi ne avrebbe diritto. Questioni simili vengono sollevate quando si parla del diritto palestinese al ritorno: chi dovrebbe essere autorizzato a tornare e come dovrebbe essere un pacchetto di riparazioni. Sono tutte domande importanti, a cui si può dare una risposta quando c’è la volontà e la richiesta di agire.

Secondo Amnesty International, “il fallimento di Israele nel rispettare il diritto al ritorno per i palestinesi che sono stati costretti a fuggire dalle loro case nel 1948 è una flagrante violazione del diritto internazionale che ha alimentato decenni di grandissima sofferenza”.

Azeza Abo Karesh, 83 anni, una rifugiata palestinese ha in mano una chiave che simboleggia la casa in cui è stata costretta a fuggire nel 1948, nel campo profughi di Shati a Gaza. Adel Hana | AP

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha affermato in molte occasioni che i palestinesi non hanno il diritto di tornare. La Anti-defamation League, o ADL, è un’organizzazione sionista dedicata a promuovere l’agenda israeliana e la diffamazione di arabi e musulmani. Secondo loro, il diritto al ritorno non è attuabile. Questo, dicono, perché “un afflusso di milioni di palestinesi in Israele costituirebbe una minaccia alla sua sicurezza nazionale e sconvolgerebbe la struttura demografica del Paese”.

La composizione demografica di Israele è stata progettata artificialmente per creare una maggioranza ebraica. Il ritorno dei palestinesi nella loro terra creerebbe una maggioranza palestinese, ma questo sarebbe successo comunque se non fosse stato per il crimine originale di Israele di manipolare artificialmente la proporzione della popolazione in Palestina attraverso la pulizia etnica.

L’ADL afferma inoltre che “qualsiasi sforzo internazionale dovrebbe anche prendere in considerazione la situazione degli 800.000 ebrei che furono espulsi dalle loro nazioni arabe native o costretti a fuggire”. Non vi è alcun confronto da fare qui e vi sono ampie prove che suggeriscono che l’affermazione è falsa. Tuttavia, anche se fosse vero, i rifugiati palestinesi non sono responsabili di ciò che può o non può essere accaduto al popolo ebraico in Iraq, in Algeria o in qualsiasi altro paese arabo.

Possiamo aspettarci di sentire argomentazioni che spiegano perché l’ingiustizia deve continuare, perché lo stato attuale è il meglio che possiamo aspettarci. Mentre è ovvio che oggi, dopo l’omicidio di George Floyd a Minneapolis e Iyad Halak a Gerusalemme, le richieste di giustizia cominciano ad essere ascoltate più che mai, noi non ci siamo ancora arrivati. Fino a quando una seria discussione sulle riparazioni non diventerà una questione centrale negli Stati Uniti e una seria discussione sul diritto al ritorno diventerà una questione centrale in Palestina, la negazione sistemica dei diritti umani ai palestinesi da parte di Israele e degli Afroamericani negli USA non finirà.

Miko Peled è un autore e attivista per i diritti umani nato a Gerusalemme. È autore di “Il figlio del generale. Viaggio di un israeliano in Palestina” e “L’ingiustizia, la storia della Terra Santa Foundation Five”.

Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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