In effetti, ciò che interessa a Israele è la terra e non le persone che vi abitano. Ma la comunità internazionale reagirà all’annessione? Al momento, nulla è meno sicuro.
Nathalie Janne d’Othée, 26 giugno 2020
Oggi, 26 giugno, la Camera dei rappresentanti ha adottato a larga maggioranza una risoluzione che chiede al Belgio di svolgere un ruolo guida a livello europeo al fine di contrastare l’annessione del territorio palestinese. Il programma del nuovo governo israeliano Netanyahu-Gantz prevede infatti di annettere gran parte del territorio palestinese dal 1° luglio prossimo, il che costituisce una grave violazione del diritto internazionale e la fine di ogni possibilità di sviluppo palestinese. A livello internazionale, solo l’UE sembra in grado di poter frenare i progetti israeliani. Deve ancora farlo. Analisi.
Dopo due turni elettorali infruttuosi in aprile e settembre 2019, le elezioni israeliane del marzo 2020 hanno infine portato alla formazione di un governo israeliano costituito da una coalizione dei due rivali elettorali Benjamin Netanyahu e Benny Gantz. L’alleanza è stata creata attorno alla necessità di rispondere rapidamente ed efficacemente alla pandemia di Covid-19, ma non solo. In effetti l’accordo di governo prevede anche il progetto di annettere il 30% della Cisgiordania palestinese, in applicazione del Piano americano per il Medio Oriente presentato a gennaio, e questo dal 1° luglio.
L’annessione per i palestinesi
Il 23 giugno, la Piattaforma per il Medio Oriente di CNCD-11.11.11 ha organizzato un webinar per comprendere meglio cosa significasse l’annessione per i suoi partner nella Palestina occupata. Per loro, la prospettiva di un’annessione de jure non cambia sostanzialmente grandi cose, dato che vivono già un’annessione de facto del loro territorio dal 1967, attraverso una colonizzazione di territorio occupato da Israele sempre più diffusa.
Come sottolinea Abbas Milhelm del Palestinian Farmers’Union, partner di Oxfam, l’annessione è già iniziata anni fa con la colonizzazione di territorio palestinese. Ciò che è in gioco oggi è l’annuncio formale di questa annessione. Reem Natsheh del Women’s Centre for Legal Aid and Counselling (WCLAC) traccia un parallelo tra ciò che la Cisgiordania è in procinto di vivere e ciò che Gerusalemme ha subito dall’inizio dell’occupazione nel 1967. Gerusalemme è stata in effetti annessa da Israele, facendo dei palestinesi dei semplici residenti, ammessi nel loro proprio territorio e a più condizioni. Questo potrebbe dare qualche indicazione del destino, oggi sconosciuto, che sarà riservato ai palestinesi nei territori annessi formalmente. In effetti, ciò che interessa a Israele è la terra e non le persone che vi abitano. Allo stesso modo, nessuno può predire il destino di molti palestinesi che lavorano regolarmente in Israele e/o negli insediamenti, come ha sottolineato Ghada Abu Ghalyoun della Palestinian General Federation of Trade Unions (PGFTU), partner di Solsoc della Centrale generale della FGTB. Poiché rappresentano manodopera a basso costo, è possibile che continuino a ricevere permessi di lavoro. Ma loro opportunità di impiego nella stessa Palestina saranno ulteriormente limitate dall’annessione, rendendoli ancora più dipendenti da Israele per la loro sopravvivenza economica.
Una minaccia per l’ordine internazionale
Israele si sta quindi preparando ad annettere formalmente intere parti del territorio che occupa, in totale violazione del diritto internazionale, davanti agli occhi del mondo intero. Se la colonizzazione rappresentava già una violazione del diritto internazionale, l’annessione non è che una violazione più forte. Ancor più che per la colonizzazione, consentire all’annessione israeliana di procedere in completa impunità, costituirebbe una minaccia per l’intero ordine internazionale.
Oggi, con l’avvicinarsi del 1° luglio, si levano sempre più voci, anche fra i tradizionali sostenitori di Israele, per opporsi all’annessione. Colloqui tra Israele e la Casa Bianca sembrano anche indicare che Israele eviterà un’annessione a blocco unico, senza dubbio al fine di evitare una levata di scudi internazionale.
Ma la comunità internazionale reagirà all’annessione? Al momento, nulla è meno sicuro.
Incertezze a livello europeo
Data la politica mediorientale del presidente Trump, oggi solo l’Unione europea (UE) sembra in grado di frenare il piano israeliano di annessione. Ma i 27 sono divisi sulla questione, come abbiamo visto durante il Consiglio degli Affari esteri del 15 maggio scorso. I 27 hanno concordato solo sulla necessità di aumentare i loro sforzi diplomatici e loro pressioni su tutti gli attori interessati per impedire l’annessione. Ma non vi è alcun consenso sull’applicazione di contromisure reali in caso di annessione. L’unica speranza sta nella preparazione da parte del Servizio di azione esterna di un “option paper” che elenchi tutte le leve di cui dispone l’UE per spingere Israele a conformarsi al diritto internazionale, da quelle che richiedono un consenso in seno al Consiglio a quelle che possono essere attivate dalla Commissione senza consultazione del Consiglio. L’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è già espresso più volte contro l’annessione e a favore di una risposta comune dell’UE.
Insieme a Francia, Spagna, Italia, Paesi Bassi, Irlanda, Svezia, Danimarca, Polonia e Lussemburgo, il Belgio è uno degli Stati membri che spingono per una risposta ferma all’annessione. Durante il suo intervento alla commissione per le Relazioni esterne del 26 maggio scorso, il ministro degli Affari esteri Philippe Goffin ha ripetuto la formula di Josep Borell: “I passi verso l’annessione, se attuati, non possono quindi rimanere senza conseguenze”. Una formula che mostra anche che il Belgio non si lascerà ingannare se Israele tenterà di contrastare l’attenzione internazionale applicando l’annessione del territorio palestinese pezzo a pezzo.
La stessa formula di Josep Borrell è ripresa anche in una lettera firmata da 1080 parlamentari di tutta Europa, tra cui 83 belgi, che chiedono all’Europa “di prendere l’iniziativa di riunire gli attori internazionali per prevenire l’annessione e per preservare le prospettive per una soluzione a due stati e una giusta risoluzione del conflitto”.
Risoluzione votata alla Camera
In tale contesto europeo, la risoluzione votata a larga maggioranza (101 voti a favore, 39 astensioni) questo venerdì 26 giugno alla Camera è quindi molto importante. Il testo chiede al governo federale “di svolgere un ruolo guida a livello europeo e multilaterale al fine di elaborare un elenco di contromisure efficaci destinate a rispondere a qualsiasi annessione israeliana del territorio palestinese occupato”. E nel caso in cui sia impossibile trovare un consenso a livello europeo, la risoluzione chiede ugualmente al Belgio “di svolgere un ruolo attivo nella creazione di una coalizione tra Stati membri che condividano le stesse idee, che elabori possibili reazioni in modo da fornire una risposta adeguata a qualsiasi annessione israeliana dei territori palestinesi occupati”.
La presente risoluzione invia quindi un chiaro segnale agli altri Stati membri dell’UE: il governo belga, ampiamente sostenuto dal Parlamento, agirà e cercherà di far muovere l’UE sulla questione. Indica inoltre che, in caso di blocco a livello del Consiglio, il Belgio è pronto ad andare oltre con gli Stati membri che lo desiderano.
La questione dell’apartheid
Qualunque cosa accada, l’annessione rappresenta un momentum nel regolamento della questione israelo-palestinese. Sempre più voci si levano oggi per sottolineare che, se applicata, l’annessione metterà fine alla soluzione a due stati e porterà a una realtà di un solo stato in cui prevarrà un regime di apartheid o “un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominio di un gruppo etnico su un altro gruppo etnico”.
Nel suo discorso al Consiglio di sicurezza del 24 maggio, Marc Pecsteen, il rappresentante permanente del Belgio, ha sottolineato che l’annessione porterebbe inevitabilmente a un “sistema di diritti politici, sociali ed economici su due livelli e fondato sull’etnia”. In altre parole, un sistema di apartheid. Se oggi l’UE non riesce a rispondere con forza all’annessione, può già prepararsi a rivedere le sue relazioni con Israele per non assistere o legittimare un tale sistema di apartheid.
Tuttavia, mentre è vero che l’annessione renderà ancora più evidente questa situazione di apartheid, le voci palestinesi sottolineano che esiste già. Allora, che si aspetta per agire? La diplomazia internazionale tradizionalmente usa il dialogo, gli incentivi e le sanzioni come leva d’influenza. Poiché i primi due non sono visibilmente sufficienti, è giunto il momento che l’Unione europea si applichi a mettere in campo il terzo.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org