Un secolo di complicità

 “Uno dei suoni più terrificanti sulla terra”, ricorda lo storico palestinese americano Rashid Khalidi, è “il rombo stridente degli aerei da guerra supersonici che scendono in picchiata per attaccare”.

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di Rod Such, 22 giugno 2020

The Hundred Years’ War on Palestine: A History of Settler Colonialism and Resistance, 1917-2017 di Rashid Khalidi, Metropolitan Books (2020)

 “Uno dei suoni più terrificanti sulla terra”, ricorda lo storico palestinese americano Rashid Khalidi, è “il rombo stridente degli aerei da guerra supersonici che scendono in picchiata per attaccare”.

L’ha sperimentato mentre si affrettava a recuperare i suoi figli da un asilo e una scuola materna a Beirut durante l’invasione israeliana del Libano del 1982 che causò la morte di oltre 19.000 fra libanesi e palestinesi, per lo più civili.

È uno dei molti incontri personali di Khalidi con il militarismo israeliano raccontati in ‘The Hundred Years’ War on Palestine’.

A differenza del suo precedente lavoro accademico, qui Khalidi intreccia la sua storia personale e familiare al periodo che copre. In un certo senso è storia vissuta, una testimonianza non solo di ciò che i palestinesi hanno vissuto collettivamente, ma anche di ciò che questo ha significato direttammente per l’autore stesso.

Khalidi proviene da una nota famiglia palestinese che si può far risalire a più generazioni, tra cui un bis-bis-bisnonno che fu studioso di religione e due zii che gli inglesi imprigionarono durante la rivolta araba del 1936-1939.

Khalidi è cresciuto a New York City dove suo padre ha lavorato per le Nazioni Unite. Dopo essersi laureato alla Yale University, ha conseguito il dottorato presso l’Università di Oxford e proseguito con una brillante carriera di insegnamento e di ricerca, culminata nel suo attuale incarico di docente Edward Said di studi arabi moderni presso la Columbia University.

 

Il ruolo ingannevole degli USA

 

Il libro del 2013 di Khalidi ‘Brokers of Deceit: How the US Has Undermined Peace in the Middle East’ documenta il ruolo che i governi statunitensi che si sono succeduti hanno avuto nel cosiddetto processo di pace israelo-palestinese.

Dimostra in modo persuasivo come gli Stati Uniti non siano mai stati un onesto mediatore nei negoziati ma un avvocato dietro le quinte per Israele, vincolato in parte da un impegno, risalente all’amministrazione Gerald Ford, a non lanciare mai una proposta di pace senza prima chiedere l’approvazione dei negoziatori israeliani.

Questo tema della complicità degli Stati Uniti nell’oppressione palestinese si estende a ‘The Hundred Years’ War’ e viene approfondito con un resoconto del ruolo degli Stati Uniti in Libano, quando funzionari americani promisero di garantire la sicurezza dei rifugiati palestinesi in seguito alla partenza dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Quegli stessi funzionari vennero meno all’impegno mentre Israele sorvegliava i massacri dei falangisti nei campi profughi di Sabra e Shatila.

Khalidi conclude che le amministrazioni statunitensi hanno colluso con Israele sin dalla guerra del 1967, alla quale Washington diede il via libera. Gli Stati Uniti continuano a fornire sia l’aiuto militare che la copertura diplomatica essenziale per conservare Israele come uno stato di apartheid, di colonizzazione di insediamento.

Come dimostra Khalidi, tutte e sei le guerre condotte dal movimento sionista e dallo Stato di Israele contro il popolo palestinese sono state rese possibili da potenze coloniali o imperialiste.

Khalidi arricchisce di nuove ricerche l’argomento con capitoli dedicati a ciascuna delle sei guerre. Le sue storie personali – come le sue esperienze vissute a Gerusalemme durante la prima intifada e successivamente come consigliere del team negoziatore palestinese alla conferenza di Madrid del 1991 – rendono ancora più toccante una storia già tragica.

La fine della collusione degli Stati Uniti con Israele è il punto centrale del capitolo conclusivo. Khalidi pone le basi per una discussione di possibili soluzioni guardando prima ai fallimenti della leadership palestinese.

Critica quella leadership per aver respinto l’importanza di influenzare l’opinione pubblica americana come un modo per contrastare le azioni del governo degli Stati Uniti. Sostiene che l’appello della società civile palestinese al boicottaggio, disinvestimento e sanzioni a Israele ha fatto di più per conquistare il popolo americano di qualsiasi altra cosa la leadership politica palestinese abbia fatto.

Khalidi propone tre contronarrative per minare la convinzione dominante nella maggior parte dei cittadini statunitensi secondo cui Israele è uno stato nazionale normale e democratico, come qualsiasi altro che abbraccia i valori occidentali.

La prima contronarrativa è quella che mette a confronto Israele con altre società di insediamento coloniale, tra cui Australia, Canada, Sudafrica e, naturalmente, gli Stati Uniti.

Parallelismi tra il destino dei nativi americani e i palestinesi incriminano Israele e gli Stati Uniti. Khalidi conclude, tuttavia, che molti americani hanno ancora a cuore la loro storia passata in cui i coloni sono rappresentati come coraggiosi pionieri in lotta con selvaggi.

La narrativa dominante viene sempre più messa in discussione, ma continua a tenere, sostiene. Il “manifest destiny” afferma che i pionieri erano soliti giustificare il genocidio e la pulizia etnica dei nativi americani in sintonia con il mito cristiano sionista degli ebrei che finalmente tornavano nella loro terra ancestrale, uno scenario edificante di salvataggio post-olocausto che piace a molti americani.

La seconda contronarrativa proposta è quella di evidenziare l’asimmetria di potere tra ebrei israeliani e palestinesi. Il problema è che a Israele piace ancora essere percepito come “Davide contro il Golia arabo/musulmano” e che i tropi mediatici affermano che i palestinesi non sono riusciti a cogliere le migliori offerte al tavolo dei negoziati.

 

Disuguaglianza

 

La terza, e secondo l’opinione di Khalidi, la più promettente e importante contronarrativa, è quella di porre al centro la parità di diritti e la loro mancanza nell’Israele dell’apartheid. La disuguaglianza è stata inserita nel piano di partizione delle Nazioni Unite del 1947 che ha riservato la maggioranza della terra della Palestina alla minoranza ebraica e quindi è alla radice del problema, scrive.

Concentrarsi sulla disuguaglianza è cruciale, afferma Khalidi, perché è in diretta contraddizione con i proclamati valori egualitari delle società democratiche occidentali su cui Israele ha fatto affidamento per il suo sostegno.

Questa disuguaglianza è diventata ancora più evidente oggi e “è la questione morale centrale posta dal sionismo”.

Khalidi conclude: “Abbracciando la sua essenza illiberale e discriminatoria, il sionismo moderno è sempre più in contraddizione con gli ideali, in particolare quello di uguaglianza, su cui si basano le democrazie occidentali”.

È significativo che all’età di 72 anni, l’importante studioso palestinese americano consideri la lotta contro l’ideologia sionista come una delle chiavi per porre fine alla collusione degli Stati Uniti con Israele.

Ma è difficile vedere come questo si possa realizzare senza una contronarrativa che accusi gli Stati Uniti di non aver fatto i conti con la propria storia di insediamento coloniale, compreso il suo colonialismo interno e il suo imperialismo esterno, entrambi presenti ancora oggi.

 

Rod Such è un ex editor per le enciclopedie World Book ed Encarta. Vive a Portland, in Oregon, ed è attivo con la campagna Occupation-Free Portland.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

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