Respingo la strumentalizzazione della lotta LGBTQ + da parte del governo per promuovere i suoi obiettivi suprematisti.
Fonte: English version
Shai Gortler – Haokets – 17 luglio 2020
Immagine di copertina: un attivista di sinistra regge una bandiera palestinese al Pride di Tel Aviv, 28 giugno 2020. (Oren Ziv / Activestills)
Un raduno LGBTQ+ in Israele, a quanto pare, non è politico fino a quando non sventoli la bandiera palestinese. Quando l’ho fatto al Pride di Tel Aviv il mese scorso, un partecipante omonazionalista ha prima cercato di coprire la bandiera palestinese con la bandiera del Pride che aveva in mano, e poi ha aggredito violentemente l’attivista e avvocato Sapir Sluzker-Amran, che difendeva una donna che a sua volta stava cercando di difendere me.
Alcuni potrebbero mettere in dubbio la connessione tra la lotta LGBTQ+ e la bandiera palestinese. Durante il mio coinvolgimento nella politica LGBTQ+ in Israele-Palestina, ho assistito a due tentativi da parte di coloro che erano al potere di sfruttare la lotta LGBTQ+ per promuovere i loro obiettivi di suprematisti bianchi colonialisti-colonizzatori. Racconto questi eventi per esemplificare una teoria: i diritti che guadagniamo a sostegno di coloro che sono più emarginati di noi, sono solo temporanei; vaste coalizioni di persone sfavorite possono invece impedire a regimi repressivi di discriminarle.
Nel 2010, con la Israeli LGBT Association, feci parte di un gruppo che chiese di organizzare il primo Pride nella città di Be’er Sheva. Il sindaco Ruvik Danilovich pose una condizione per il finanziamento dell’evento da parte della città: si sarebbe dovuto tenere nella piazza della Grande Moschea di Beer Sheva. Dopo aver espulso i residenti palestinesi della città nel 1948, Israele prese il controllo della moschea, che prima di essere trasformata in museo fu utilizzata come prigione e in seguito come tribunale. Il comune rifiuta ancora di ripristinare la moschea come luogo di culto per i residenti musulmani della città. Quando ricevemmo la strabiliante notizia che la città era disposta a sostenere il nostro evento, il direttore del museo ci chiese di astenerci dal tenere spettacoli di drag, in conformità con un rapporto del comitato intergovernativo che raccomandava di mantenere la dignità della moschea come luogo santo.
Noi, attivisti locali presso la sezione di Be’er Sheva della Israeli LGBT Association, sostenemmo che il comune stava cercando di rafforzare le sue pretese sulla moschea ritraendo i musulmani come omofobi (sulla base del loro presupposto che i musulmani avrebbero protestato per lo svolgimento del Pride davanti a una moschea) e cercando contemporaneamente di placare l’opposizione omofobica all’evento presentandolo come uno sforzo ebraico che avrebbe ulteriormente espropriato i musulmani. Ci rifiutammo di essere strumentalizzati in questo modo e il comune fece marcia indietro. Sin da quella decisione, le persone LGBTQ+ musulmane hanno continuato a partecipare agli eventi e ai Pride di Be’er Sheva.
Su un piano più personale, il mio partner e io negli ultimi cinque anni siamo stati presenti in quella che il Ministero israeliano del lavoro, degli affari sociali e dei servizi sociali chiama “Lista di attesa B” per le adozioni. La legge israeliana ci discrimina come coppia omosessuale e afferma che solo “un uomo e sua moglie ” possono adottare bambini. Ma nel 2008, è diventato possibile per le coppie dello stesso sesso adottare figli nei casi in cui nessuna coppia eterosessuale sia disposta ad adottare un bambino a causa dell’età o delle sue condizioni di salute.
Nell’agosto dello scorso anno, l’allora Ministro della giustizia Amir Ohana – lui stesso omosessuale – pubblicò una proposta di legge che mirava a modificare la discriminazione nei confronti delle coppie dello stesso sesso (lasciando però intatta la discriminazione nei confronti dei genitori single). Sotto la maschera dell’uguaglianza tuttavia, Ohana inserì un emendamento che avrebbe consentito l’adozione con ordinanza giudiziaria nel caso in cui “una persona della stessa fede dell’adottando non venga trovata”.
La legge israeliana pone severi limiti alle adozioni interreligiose. Questa logica, secondo il professor Michael Karayanni, è influenzata dal rapimento di bambini ebrei da parte dei cristiani durante e dopo l’Olocausto, e dalla volontà del legislatore di evitare il ripetersi di azioni simili. Ma l’emendamento proposto da Ohana consentirebbe effettivamente a genitori ebrei di adottare bambini musulmani, poiché le domande di adozione nella società ebraica israeliana supera il numero di bambini disponibili, mentre la tendenza, nella comunità musulmana del Paese, è invertita.
A breve termine Il numero di bambini che sarebbero interessati dall’emendamento proposto non è elevato: nel 2019 sono stati adottati solo nove bambini musulmani. Tuttavia, pur modificando parzialmente la discriminazione legale nei confronti delle persone LGBTQ+, l’attuale versione della proposta di legge potrebbe danneggiare i cittadini palestinesi di Israele, in quanto faciliterebbe il processo di rimozione dei bambini palestinesi dalle loro case anche senza il consenso dei genitori. Mentre gli emendamenti alla legge sull’adozione, anche per quanto riguarda l’adozione interreligiosa, sono certamente necessari, quelli di noi che lottano contro la discriminazione omofobica non desiderano l’uguaglianza a spese di altri.
Allora perché ho alzato la bandiera palestinese in un Pride? Non per una libertà di espressione riservata esclusivamente agli ebrei, né per un eccessivo apprezzamento del nazionalismo, e nemmeno per il giovane queer palestinese che dopo il violento assalto ha sventolato la bandiera accanto a quelle trans *, bi e del Pride per il resto della manifestazione.
Ho sventolato la bandiera palestinese per ricordare che alcuni di noi rifiutano la strumentalizzazione del governo della lotta LGBTQ+ per calpestare gli altri. Al posto della coalizione che si sta attualmente formando tra i segmenti privilegiati della nostra comunità e il regime suprematista, chiediamo di immaginare altre possibilità.
Invece di realizzare video di pubbliche relazioni al servizio della polizia, abbiamo chiesto al nostro contatto LGBT nel comune di Tel Aviv- Jaffa, Itai Pinkas, di dire i nomi di alcuni degli assassinati dalla brutalità della polizia: Iyad al-Hallaq, Solomon Teka e Shirel Habura . Abbiamo chiesto un sindaco di Tel Aviv che si impegni per tutti, invece dell’attuale Ron Huldai, che una volta disse che “due gay che si baciano mi disgustano come due scarafaggi;” o che “ogni città ha bisogno di un retto” quando parla dei quartieri LGBTQ+ e Mizrahi che circondano la stazione centrale degli autobus di Tel Aviv; e che profana il cimitero di Jaffa al-Is’af mentre trascura i suoi abitanti in vita.
Non ho potuto fare a meno di pensare – in silenzio, perché alcuni pensieri non possono essere pronunciati nella piazza della città – agli ex residenti del villaggio palestinese di Summayl, un tempo situato all’incrocio tra Arlozorov e Ibn Gabirol, la cui storia la maggior parte degli israeliani non ha avuto modo di sapere. Il Pride per l’uguaglianza si è tenuto sulla loro terra, senza chiedere il loro consenso,mentre loro stessi, siano rifugiati o sfollati, cercano di tornare in quella stessa terra.
Gli ebrei Mizrahi inviati dal governo israeliano ad abitare Summayl sono stati e continuano ad essere cacciati dai ricchi padroni di Huldai. Anche i gay che erano soliti passeggiare nell’Independence Park, costruito sul cimitero di Summayl, sono stati cacciati.
Che cosa potrebbe accadere se, invece di consentire a un regime coloniale-colonialista suprematista bianco di strumentalizzare la causa LGBTQ+ per poi volgere il suo potere contro di noi, continuassimo a stringere coalizioni con altri che lo combattono? Sento già gli omonazionalisti prendere le armi, ma so che hanno torto. Non sono stato io a portare i rapporti di potere Israele-Palestina al Pride – sono sempre stati sotto il nostro naso.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata per la prima volta in ebraico su Haokets.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org