È possibile un sionismo di sinistra?

La critica del “sionismo di sinistra” è focalizzata solo sulla parte più nazionalista e ultras di Israele, rendendo invisibile la Nakba, impossibile da dimenticare per la memoria palestinese. Il “sionismo di sinistra” rivendica un nazionalismo ebraico secolare e umanista, che tuttavia condivide l’idea del sionismo come movimento colonialista e razzista, indicato dai suoi stessi fondatori come un “avamposto della civiltà contro la barbarie”, dove i palestinesi non sono altro che un popolo inferiore.

Fonte: Versión Española

Andrés Kogan Valderrama, sociologo – 18 luglio 2020

Dopo il nuovo episodio coloniale nella storia dello Stato di Israele,  con il tentativo di annettere parte della Cisgiordania da parte dell’estrema destra sionista, è interessante riflettere sulla contraddizione da parte di alcuni settori politici ebrei che continuano rivendicare sia il sionismo che l’appartenenza alla sinistra, in un contesto dominato dall’approfondimento del colonialismo insediativo nei confronti del popolo palestinese dopo 72 anni.

All’interno di questi settori, forse il più eclatante di tutti  è il partito politico israeliano Meretz, fondato nel 1992 e definito dal suo carattere socialdemocratico, socialista e pacifista. Sebbene negli ultimi anni abbia perso molta forza a livello elettorale, è forse la voce più importante di un sionismo progressista critico nei confronti delle politiche messianiche ed esplicitamente razziste del governo di Benjamin Netanyahu.

Per l’America Latina, uno dei leader più importanti di questo partito di sinistra è Darío Teitelbaum, attualmente segretario generale dell’Unione Mondiale di Meretz, oggetto di violente critiche da parte di fanatici gruppi sionisti di destra e accusato persino di essere un traditore solo per aver criticato il tentativo di annessione del 30% della Cisgiordania e  il sistema di apartheid presente nei territori occupati dai coloni sionisti,.

Sebbene le critiche di questi gruppi ultra-nazionalisti non attirino l’attenzione, (gruppi che tra l’altro classificano qualsiasi critica allo Stato di Israele come antisemita, negando così lo status semitico degli stessi palestinesi e la possibilità degli ebrei di tutto il mondo di alzare la voce di fronte all’occupazione israeliana), nel caso di Meretz c’è un tentativo di pianificare uno Stato democratico di Israele che non violi il diritto internazionale.

Pertanto, Teitelbaum solleva nuovamente la necessità di generare politiche israeliane che riprendano il dialogo con l’Autorità Nazionale Palestinese,  interrotto con l’arrivo di Netanyahu, per riaprire la possibilità di un piano per  il ritiro dei coloni sionisti messianici dalla Cisgiordania, permettendo così  la formazione di uno Stato palestinese  sovrano  e dai confini definiti che possa  coesistere con lo Stato di Israele.

Il problema con la visione sionista di sinistra di Teitelbaum è che per lui il problema inizierebbe con l’occupazione sionista dei territori palestinesi nel 1967 e non nel  1948,  anno della formazione dello Stato di Israele. In altre parole, ciò che fa è rendere invisibile la Nakba, che per la memoria palestinese è un’esperienza catastrofica impossibile da dimenticare, con le sue critiche concentrate solo sui gruppi più nazionalisti in Israele.

In altre parole, Teitelbaum cerca di rivendicare un nazionalismo ebraico secolare e umanistico, ma in nessun momento  contestualizza il sionismo come movimento coloniale fin dalle sue stesse basi, rese esplicite alla fine del XIX secolo dal suo fondatore, Theodor Herzl, che affermò la necessità di creare un “avamposto della civiltà contro la barbarie”.

Un processo sionista civilizzatore, erede del colonialismo europeo, che ha cercato di occidentalizzare il mondo ebraico, a detrimento di un altro popolo, i palestinesi, che agli occhi del sionismo non è altro che un popolo inferiore.

Quindi, non dovrebbe sorprendere che questi stessi settori sionisti di sinistra rivendicano il Kibbutz (cooperative socialiste rurali) per la loro natura collettivista ed ecosostenibile,  dimenticando che sono nati da una brutale espropriazione ed espulsione della popolazione palestinese che abitava in quel territorio prima della formazione dello Stato di Israele.

Di conseguenza, non capire che il sionismo è stato fin dalla sua origine un’ideologia razzista dannosa anche per i milioni di ebrei nel mondo,  significa non voler vedere che è una cattiva via d’uscita per la giudeofobia e quindi una beffa per milioni di ebrei storicamente perseguitati e uccisi da diversi Imperi e Stati.

La coesistenza pacifica tra i popoli deve quindi avvenire in un quadro di rispetto e di riconoscimento dell’altro come ugualitario e lontano da qualsiasi tipo di fondamentalismo, sia esso nazionalistico o religioso. Questo nazionalismo  è stato presente anche in molti stati arabi autoritari, per i quali il popolo palestinese non è mai stato importante.

Infine, sulla questione se il sionismo di sinistra sia possibile, è chiaro che è possibile e non vi si vede alcuna contraddizione. Inoltre, la stessa dicotomia sinistra-destra lo consente, essendo erede di un moderno colonialismo ideologico derivante dalla Rivoluzione francese. Lo stesso avviene con la nozione di progressismo, che nasconde in sé l’idea del progresso capitalista che attraverso Stati o grandi corporazioni private cerca di schiacciare intere comunità per il fatto che non vogliono unirsi ad esso. .

In America Latina conosciamo molto bene tutto ciò: governi che si definivano di sinistra, socialisti, progressisti, rivoluzionari e persino indigeni, mentre continuavano a promuovere  l’estrattivismo nei territori in modo corrotto, autoritario e caudillista, non molto diverso da quello che era stato fatto dai governi neoliberisti di destra.

Non possono pensare di venire a raccontarci storie , dopo 500 anni di storia coloniale, quella storia coloniale che nel caso dei palestinesi si ripete attraverso il sionismo.

 

Trad Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictaplestina.org

 

 

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