L’intersezionalità, non il nazionalismo, è la via da seguire.

Molti affermano che la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Emirati Arabi Uniti dimostra il fallimento del “nazionalismo arabo”, ma la lotta intersezionale mostra che la solidarietà trascende i confini nazionali

Fonte: English Version

Nada Elia  – 16 agosto 2020

Immagine di copertina: marcia per Eyad Al Hallaq in solidarietà con Black Lives Matter ad Haifa, 2 giugno 2020. (Foto: Suhair Badarni)

Molti anni fa, quando mio figlio era ancora alle elementari, ricevetti una telefonata dal suo “Direttore della Diversità” che chiedeva se per favore potevo prestare alla scuola una bandiera palestinese, poiché stavano  esponendo le bandiere di tutti i Paesi rappresentati dal corpo studentesco. Sapevano che ero palestinese perché facevo parte del Comitato per la Diversità della scuola e agli studenti in assemblea avevo tenuto un paio di discorsi sulla Palestina.

Dissi alla scuola che apprezzavo molto il loro riconoscimento della Palestina, ma che non avevo una bandiera da prestare loro. Più tardi quella sera, ebbi una conversazione con mio figlio sul perché non possedessi una bandiera palestinese, spiegando che le bandiere per me rappresentavano il nazionalismo e che il mio attivismo derivava da un impulso per la giustizia e non aveva nulla a che fare con il patriottismo.

Ricordo questa storia all’indomani dell’annuncio della normalizzazione tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele, cosa di cui Donald Trump si sta prendendo il merito, anche se il rapporto tra i due paesi è  in essere da molti anni. La reazione nel mondo arabo è che questo dimostra il fallimento del “nazionalismo arabo”, inteso come  concetto a sostegno della Palestina e contrario al sionismo. I palestinesi ne sono particolarmente offesi, poiché da tempo esortavano i Paesi arabi a non normalizzare i rapporti  con Israele. Noura Erakat, ad esempio, ha twittato che, sebbene non sia sorpresa dall’annuncio, rimane delusa per “il fallimento del nazionalismo arabo”. Rispetto molto Erakat, e il mio disaccordo con lei qui non è personale, anzi, è quello che ho avuto con molti attivisti palestinesi, che si irritano al mio mettere in dubbio qualsiasi analisi fondata su aspirazioni nazionaliste.

Il “nazionalismo” è, per definizione, un’ideologia immaginaria ed escludente. Benedict Anderson ha definito gli stati-nazione “comunità immaginarie”, dove tutti i cittadini residenti in un Paese “immaginano” di avere una cultura coesa in comune. Guardando un qualsiasi Paese oggi, vediamo immediatamente come non sia così: quale “cultura coesa” c’è negli Stati Uniti, dove neonazisti, neri, arabi americani e membri delle molte tribù indigene di quella terra hanno lo stesso passaporto, ma vivono il proprio Paese in modi completamente diversi?

Lo stesso vale per la maggior parte dei Paesi arabi, dove comunità diverse che vivono stili di vita molto diversi convivono all’interno degli stessi confini, il più delle volte con diritti politici e civili ineguali.

Il nazionalismo è anche escludente perché dipende dall’esistenza di confini che tengono fuori gli altri per il bene della coesione nazionale. Ma questi confini sono sempre stati porosi e stanno diventando più permeabili di giorno in giorno nella nostra era di globalizzazione, diaspore e migrazioni di massa. E così un Paese come il Libano, che è orgoglioso della diversità del proprio popolo, ma ha anche il più alto rapporto al mondo di rifugiati e stranieri rispetto ai cittadini libanesi, inizialmente non ha nominato i palestinesi, i siriani e i lavoratori domestici dell’Asia meridionale nell’elenco delle vittime della recente esplosione. I genitori di una ventenne vittima dell’esplosione hanno avuto difficoltà a seppellirla, perché è siriana.

Parlare del fallimento del “nazionalismo arabo” rivela una fede in qualcosa che non è mai esistito veramente, nonostante alcuni tentativi storici di forgiarlo. Mi viene in mente l’egiziano Gamal Abdel Nasser naturalmente, ma anche Hafez el Assad in Siria e suo figlio Bashar .

Oggi, come in effetti è stato per secoli, tutta la solidarietà, tutta le lotte comuni, si svolgono lungo le linee di cause, lotte, credenze, ecc. Queste attraversano i confini nazionali, come evidenziato negli ultimi anni dalle piattaforme come Blacks for Palestine e Red Nation, che riconoscono le reali connessioni tra le persone oppresse dagli stessi sistemi (razzismo, xenofobia, misoginia e sì, nazionalismo), in modo da rendere il “mondo” e le società in generale, piuttosto che uno specifico Paese, un  luogo migliore .

Ma questa non è una novità. Le lotte del secolo scorso per rovesciare il colonialismo europeo in vari Paesi africani sono state completamente transnazionali, poiché i combattenti  attraversavano i confini nazionali per unirsi alla lotta contro il colonizzatore di un altro Paese. L’indipendenza nazionale era certamente l’obiettivo, ma i combattenti che rischiavano la vita per la libertà di qualcun altro erano motivati ​​dall’anti-colonialismo, non dal nazionalismo.

Allo stesso modo, la lotta per porre fine all’apartheid in Sud Africa  fu imperniata sulla solidarietà globale, cioè transnazionale, fondata sul desiderio di porre fine all’ingiustizia. E la lotta odierna per porre fine all’apartheid nella Palestina storica dipende in modo simile dall’attivismo dei suoi sostenitori al di fuori del Paese,  sostenitori che non agiscono per impulso nazionalista. La lotta intersezionale che celebriamo oggi è molto articolata nel sostenere che le nostre connessioni trascendono i confini nazionali, che le persone oppresse, criminalizzate e occupate a Gaza e a Ferguson condividono esperienze simili che le legano più intimamente di quanto, diciamo, la cittadinanza statunitense leghi i neri a quella presunta terra di opportunità e meritocrazia.

Nessuno è davvero sorpreso dall’annuncio di ieri della normalizzazione degli Emirati Arabi Uniti con Israele, e molti si aspettano che altri accordi di questo tipo vengano annunciati nei prossimi mesi, tra i leader arabi e Israele. La maggior parte dei progressisti oggi riconosce che viviamo in un mondo post-nazionalista. È ora che abbandoniamo anche il nazionalismo, con le sue promesse fallite e le sue premesse imperfette.

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org

 

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