Il successo per Act.IL, non significa diventare virali o raggiungere una massa critica, ma creare un esercito permanente di troll sempre prontamente attivi nella guerra informatica di Israele.
Di Daniel Lark – 10 Agosto 2020
Quest’anno durante il Nakba Day, l’annuale commemorazione del 15 maggio dell’epurazione di massa dei palestinesi durante l’istituzione dello Stato di Israele, i palestinesi si sono ritrovati su internet per ripercorrere la loro storia e per ricordare al tutto il mondo la loro lotta. Impossibilitati ad incontrarsi di persona a causa della pandemia, gli attivisti hanno organizzato visite virtuali di Gaza e della Cisgiordania, hanno condiviso storie personali e familiari e promosso hashtags per sottolineare un trauma storico e le sue attuali ripercussioni.
Lo stesso giorno, una missione speciale è apparsa sull’app e sulla pagina Facebook della piattaforma online Act.il (ndt. App israeliana), che invitava gli utenti a scaricare una serie di immagini e meme, già editate pronte per Instagram, e quindi condividerli sui social media sotto l’hashtag #Keytopeace. Progettati per interrompere e delegittimare la ricorrenza del Nakba Day, i meme erano pieni di immagini razziste e violente di palestinesi: immagini di uomini in giacca e cravatta che si trasformavano in terroristi, foto di bambini vestiti con mimetiche e colori di guerra. Centinaia di queste immagini sono finite subito online, pubblicate e condivise da utenti comuni e da importanti attivisti filo-israeliani estremisti come il cofondatore del Consiglio Israelo-Americano Adam Milstein.
Funzionari israeliani, facoltosi donatori e attivisti sionisti parlano sempre più di una “battaglia online per Israele” e questo linguaggio di guerra non è semplicemente un modo di dire. Mentre si è trasferita online, l’hasbara, il termine ebraico per la propaganda israeliana presentata all’opinione pubblica Internazionale, una parte fondamentale della difesa sionista per decenni, è arrivato a includere iniziative informatiche coordinate con l’esercito israeliano. Forse la più ambiziosa di queste iniziative è Act.IL, un’app che ha adattato la strategia di comunicazione dell’IDF a qualcosa di simile a un gioco online multi-giocatore di massa.
Lanciato nel 2017, Act.IL invia attivisti in “missioni” per mettere mi piace, commentare e condividere materiale pro-Israele sui social media e per segnalare, documentare e rispondere ai critici di Israele in rete. Gli utenti saltano da una piattaforma all’altra, contrastando le critiche a Israele con punti di discussione e immagini che riflettono una comprensione sionista estremista della storia, della cultura e della politica ebraica e israeliana.
L’app incoraggia i sostenitori di Israele, e in particolare gli ebrei americani, a immaginarsi come soldati che combattono per Israele in prima linea in una feroce guerra informatica. In tal modo, questi sostenitori formano una rete con i veri soldati israeliani: l’amministratore delegato dell’app, Yarden Ben Yosef, è un ufficiale veterano dell’intelligence israeliana che nel 2017 ha dichiarato al quotidiano ebraico The Forward (l’Avanti) che gli sviluppatori di Act.IL lavorano a stretto contatto, anche se informalmente, con ufficiali dell’esercito e dell’intelligence israeliani. L’entusiasta ludicizzazione della propaganda e la sua immagine da startup mascherano l’estensione diretta del militarismo e della sorveglianza israeliana nella vita comunitaria ebraica della diaspora.
Act.IL è nata nel Centro Interdisciplinare (Interdisciplinary Center – IDC), la prima università privata israeliana, che si trova nella città di Herzliya, nel cuore del “Silicon Wadi” il fulcro tecnologico del paese, e ha legami profondi con i militari e gli apparati statali israeliani. Durante l’incursione di Israele nel 2012 a Gaza, l’IDC ha istituito un “centro diplomatico pubblico” di emergenza per affrontare le preoccupazioni relative all’immagine del paese; il centro è stato riattivato due anni dopo, quando l’IDF ha ucciso migliaia di abitanti di Gaza durante un’altra operazione militare.
Durante entrambe le campagne, l’esercito israeliano ha devastato Gaza e ottenuto una vittoria unilaterale. Eppure, nonostante questo, i vertici dell’IDC, che comprendono ex generali militari, ufficiali dell’intelligence e capi di stato, hanno continuato a preoccuparsi della reputazione di Israele online, dove testimonianze oculari, video di cittadini palestinesi e giornalisti sul campo hanno sfidato la narrativa ufficiale di Israele. Per arginare la marea di critiche online, gli studenti IDC, con il supporto del Ministero degli Affari della Diaspora e di altre agenzie statali, hanno allestito una “sala operativa” dove, secondo una rivista del campus universitario, i volontari lavoravano 24 ore su 24, scansionando i titoli, pubblicando commenti e rispondendo ai messaggi che circolano sui social media.
L’IDC ha rapidamente stabilito la sala operativa come un elemento permanente dell’università. Con l’aiuto delle organizzazioni filo-israeliane e degli sviluppatori di programmi informatici con sede negli Stati Uniti, iniziò a esportare questo modello di comunicazione aggressivo anche nelle comunità ebraiche della diaspora. Oggi, i responsabili della comunità e i volontari si incontrano regolarmente nelle sale stampa negli Stati Uniti (o, in questi giorni, virtualmente) e cercano in Internet i post che ritengono anti-israeliani, che inseriscono nella banca dati di Act.IL. Questi messaggi diventano quindi la base per una tattica online ramificata.
Quando un nuovo utente vuole diventare un soldato hasbara, crea un account sull’app e segue un corso di addestramento, con l’incoraggiamento di un narratore di YouTube che spiega come l’app può aiutare a “migliorare l’attivismo”. L’app offre quindi una serie di missioni da completare. Dopo il completamento di una missione l’utente viene inviato ad una conferenza, in cui viene presentata una breve descrizione e uno screenshot dell’obiettivo (un post sui social media) e una guida su come rispondere. A seconda della natura della missione, ciò potrebbe significare scrivere un commento ostile o contrassegnare un post come inappropriato, oppure potrebbe significare condividere o votare un post alleato. (Act.IL fornisce ai partecipanti punti di discussione, ma li incoraggia anche a sviluppare un proprio linguaggio per evitare di essere contrassegnati come BOT(1) dalle piattaforme di social media.) L’utente viene quindi indirizzato sulla piattaforma in cui appare l’obiettivo ed esegue l’operazione. Infine, possono tornare all’app Act.IL per essere ricompensati. Gli utenti ricevono punti per ogni missione completata, sbloccano dei lasciapassare per il raggiungimento di determinati obiettivi e vengono inseriti nelle classifiche che mostrano i migliori attivisti in un determinato mese.
Le missioni variano enormemente nella modalità. Molti cercano di attingere all’immagine preferita di Israele come paradiso culturale e potenza tecnologica. La scorsa primavera, ad esempio, alcune missioni hanno chiesto agli utenti di commentare la performance di Madonna all’Eurovision Song Contest per combattere la “pirateria culturale” che approfitta dell’evento apparentemente apolitico come un’opportunità per attaccare Israele. Altri hanno indirizzato gli utenti a commentare il (fallito) sbarco sulla luna della sonda spaziale israeliana Beresheet e si sono meravigliati di come “Israele, nonostante le sue dimensioni, possa ancora ottenere risultati astronomici”. Una missione ha spinto gli utenti a stringersi attorno a un influencer di moda su Instagram che è stato criticato per aver viaggiato in Israele. Mentre alcune missioni cercano di allontanare la cultura dalla politica, altre sono esplicitamente politiche, chiedendo agli utenti, ad esempio, di firmare una petizione in cui le critiche a Israele sono condannate come antisemite. Altre missioni ancora chiedono agli utenti di segnalare video su Instagram o Facebook che presumibilmente “incitano e glorificano il terrorismo”, anche se il contenuto offensivo è un video musicale provocatorio impostato su una canzone politica degli anni ’70 che non sostiene la violenza.
Ogni missione è accompagnata da un intertitolo che si adatta al linguaggio iperbolico delle direttive di Act.IL. Mentre le missioni culturali tendono ad avere un taglio positivo, con intertitoli rosa e viola pieni di cuori, molte missioni presentano un linguaggio esplicitamente razzista e immagini violente. Queste inquadrature presentano foto spersonalizzate, estrapolate, immagini di uomini arabi anonimi che indossano la tipica keffiyeh, lanciano pietre, appiccano incendi e causano disordini. Una missione che chiede agli utenti di apprezzare un commento su Twitter in risposta a un articolo del servizio giornalistico Reuters “La stragrande maggioranza delle vittime di Gaza erano terroristi”, ha una inquadratura che mostra la testa e la mano di un giovane avvolto con la keffiyeh pronto a lanciare una pietra. Un’altra inquadratura mostra solo una mano che tiene un coltello grondante di sangue, un’allusione a una serie di accoltellamenti commessi contro gli israeliani nel 2015-2016.
Una caratteristica distintiva della rete Act.IL è la sua “politica no-logo”, una pratica esplicita di rimozione di fonti e contesto da immagini e documenti condivisi pubblicamente. Come spiegano il sito web Act.IL e i documenti promozionali, la politica no-logo è progettata per persuadere le persone che non hanno già opinioni forti su Israele: funziona come una sorta di anti-marchio, facendo apparire le dichiarazioni ideologiche neutre e organiche. Il contesto evidenzia la soggettività della retorica politica; Act.IL mira a decontestualizzare e quindi a ritrarre particolari punti di vista sionisti estremisti come ovvi o indiscutibili.
In linea con questa strategia, il sito web di Act.IL presenta l’app come un’iniziativa di sviluppo popolare alimentata dal “potere collettivo”, sebbene in realtà porti solo a un aumento della produttività. L’IDC ha commissionato la piattaforma in collaborazione con due gruppi filo-israeliani ben finanziati con sede negli Stati Uniti, il Consiglio Israelo-Americano (IAC) e l’Unità Maccabee. La prima è un’organizzazione culturale devota alla difesa israelo-americana e ha un gruppo di pressione che spinge la legislazione anti-BDS e posizioni di politica estera aggressive, la seconda, finanziata da Sheldon Adelson, e diretta dal sionista cristiano David Brog, ed è dedita alla lotta contro il BDS nei campus universitari.
Act.IL è stata sviluppata da Rallyware, una società informatica per la produttività dei dipendenti i cui clienti includono Avon e Samsung, e la sua interfaccia ricorda da vicino uno strumento di formazione e sorveglianza aziendale. L’estetica e lo stile di gestione delle risorse umane dell’app si riflettono anche nelle sale multimediali che inseriscono i dati in Act.IL: gli amministratori del sito web reclutano studenti delle scuole superiori e universitari per trasformarli in coordinatori di missione volontari con la promessa che saranno istruiti e guidati da professionisti digitali e gestori di social media. LinkedIn cerca molti degli attivisti in cima alle classifiche delle missioni dimostrando che i volontari della sala multimediale e il personale retribuito tendono ad essere in cima alle classifiche, a differenza dei 22.000 utenti di base di cui si vanta la rete.
Act.IL ha avuto dei successi tangibili. Quando gli studenti dell’Istituto Pitzer nel sud della California hanno spinto la scuola a rinunciare all’opzione di studio all’estero in Israele, la rete ha organizzato una campagna con una petizione ampiamente condivisa, un video con interviste agli studenti e missioni che indirizzavano gli utenti a contattare la scuola e registrare i reclami. Mentre il voto per abbandonare il programma è stato approvato dal governo studentesco, è stato posto il veto dal presidente del college, la cui giustificazione ha esposto le stesse argomentazioni presenti nella petizione di Act.IL. La rete online ha inoltre affermato di essere stata determinante nel ritardare l’implementazione di un nuovo programma di studi etnici per le scuole superiori della California, creando numerose missioni che incoraggiano gli utenti a sostenere che il programma era antisemita e che emarginava gli studenti ebrei.
L’intera base di utenti dell’app può essere difficile da mobilitare: nel maggio 2019, Act.IL ha indirizzato i suoi utenti a una pagina web di “emergenza” di missioni specifiche progettate per difendere Israele quando i militari hanno aperto il fuoco sui manifestanti che partecipavano alla Grande Marcia del Ritorno di Gaza. Ma un’analisi del Laboratorio di Ricerca Forense Digitale del Consiglio Atlantico (Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council) ha rilevato che la pagina pubblicizzata ha ricevuto solo circa 300 visite: il 56% dagli Stati Uniti, il 36% da Israele e l’8% dalla Russia.
La frequenza, tuttavia, può compensare la mancanza di portata. La banda di utenti impegnati di Act.IL, inclusi i giovani reclutati dal sito per apprendere le tattiche di attacco online, aumenta la probabilità che qualsiasi critica online a Israele, non importa quanto innocua o accurata, si traduca in negazionismo. La rapida espansione dell’app, unita all’entusiasmo di Israele di esportare le sue tecnologie e tecniche di sicurezza ad alta tecnologia in altri paesi, suggerisce che questi sforzi riflettono una visione per il futuro della propaganda estremista e dell’attivismo online. Il successo per Act.IL, quindi, non significa diventare virali o raggiungere una massa critica, ma creare un esercito permanente di troll sempre prontamente attivi nella guerra informatica di Israele.
1)La parola bot non è altro che il diminutivo di robot e indica alcuni algoritmi capaci di creare e pubblicare automaticamente dei contenuti sui social
Daniel Lark è uno studente di dottorato in cinema e studi sui media presso la University of Southern California.
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org