Oscuri episodi di tratta di esseri umani, tangenti, rapporti stretti tra dittature, presunti attacchi terroristici si mescolano in questo rapporto 50 anni dopo gli eventi.
Fonte: Versión Española
Armando Rivarola– 12 agosto 2020
Immagine di copertina: il quotidiano ABC del 5 maggio 1970, in cui si racconta il presunto attentato avvenuto il giorno prima nell’ambasciata israeliana.
Il giornalista Eran Cicurel, redattore di notizie internazionali per la Israel Public Radio (KAN, o Israel Public Broadcasting Corporation), ha ottenuto un documento del 1969 che rivela un piano segreto per trasferire in Paraguay 60.000 palestinesi dalle aree allora recentemente occupate, in cambio di una tangente che oggi sarebbe l’equivalente di almeno 15 milioni di dollari. Il progetto fu avviato e poi si interruppe bruscamente e tragicamente.
Il 4 maggio del 1970, alle 10.40, il pacifico e tranquillo villaggio di Asunción fu scosso dall’irruzione di due giovani palestinesi armati nell’ambasciata israeliana, ad Alberdi e Pdte. Chiesero di parlare con l’ambasciatore Benjamin Varon, e finirono per assassinare la segretaria Edna Peer, moglie del Primo Segretario, e ferire gravemente la receptionist Diana Zawluk, che fortunatamente riuscì a sopravvivere.
Gli autori, Halaj Kasbui e Talal El-Damsa, rispettivamente di 21 e 20 anni (abbiamo preso i nomi dalla pubblicazione ABC dell’epoca, altre fonti li identificano come Kalil Abed Rabu Derwish Kassal e Talal Mota Demasi), furono facilmente arrestati subito dopo, uno davanti al Lido Bar e un altro in una pensione a San Lorenzo, e poi condannati a 13 anni di carcere.
Lo sfondo
All’epoca si diceva che fossero terroristi di Al-Fatah, l’ala armata dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), e quella è sempre rimasta la versione ufficiale. Ma questo documento, trovato 50 anni dopo, getta nuova luce su questo oscuro evento e lascia intendere che il fatto fosse solo la triste fine di un progetto fallito che coinvolgeva nientemeno che un massiccio traffico di esseri umani e in cui si mescolavano interessi politici, conflitti internazionali, esperimenti di ingegneria sociale, trattative segrete e la più semplice e pura corruzione.
Il documento recuperato è il verbale di un incontro riservato tra il primo ministro Golda Meir e i componenti più stretti del suo gabinetto, dove viene discusso un rapporto presentato dal Mossad (servizio di intelligence israeliano) sui negoziati che erano stati condotti con il governo paraguaiano.
Vi viene menzionato un “Istituto Paraguaiano di Agricoltura e Immigrazione”. Sappiamo che questa entità non è mai esistita in Paraguay con quel nome (è possibile che si tratti di un difetto di traduzione), ma sicuramente l’allusione corrisponde alla Direzione della Migrazione, il cui responsabile era il Col. Victoriano Benítez Vera, dipendente dal Ministero dell’Interno, il cui capo era il già superpotente Sabino Augusto Montanaro.
Tangente di 15 milioni di dollari
Secondo l’accordo proposto, Israele avrebbe inviato 60.000 migranti palestinesi dai territori occupati entro quattro anni, provvedendo al loro sostentamento finché si fossero adattati e pagando “al governo paraguaiano” un importo di 33 dollari a testa.
Se l’intera operazione fosse stata completata, l’importo totale all’epoca sarebbe ammontato a 1.980.000 dollari. Considerando solo l’inflazione negli Stati Uniti, questa rappresenterebbe oggi la somma non trascurabile di 15 milioni di dollari, e se teniamo conto del valore di acquisto (nel 1970 in Paraguay si poteva comprare una piccola auto per 500.000 guaranì, circa 4.000 dollari al cambio ufficiale di 126 guaranì per dollaro), probabilmente molto di più.
Motivi
Apparentemente il piano era stato originariamente ideato dal primo ministro Levi Eshkol e ripreso dalla famosa “Iron Lady” che gli succedette al potere dopo la sua morte improvvisa nel febbraio 1969.
La guerra dei sei giorni (1967) aveva notevolmente ampliato il territorio dell’ancor giovane Stato di Israele, ma aveva anche aumentato le problematiche al suo interno. La principale era che una popolazione araba di un milione di persone si era aggiunta al suo controllo, la maggior parte stipata nei campi profughi, dove prevalevano estrema povertà, alta disoccupazione, malcontento sociale e radicalismo.
Oltre a voler occupare queste nuove terre con i propri coloni, i leader israeliani erano preoccupati sia per le conseguenze a breve termine di questo scenario esplosivo, sia per le inquietanti proiezioni demografiche a medio e lungo termine, quindi iniziarono a valutare la possibilità di emigrazione volontaria della popolazione araba in altre parti del mondo in cambio di incentivi, oppure un’emigrazione in qualche modo forzata.
Contingente di 33
Il Paraguay negli anni Sessanta aveva una politica a favore degli immigrati, e infatti a quel tempo nel Paese c’era già una considerevole popolazione araba, ma è ovvio che queste trattative non si svolgessero in maniera aperta e trasparente.
A tal punto che quasi nessuno in Paraguay è a conoscenza di questi negoziati. Siamo stati in grado di trovare solo una persona che ne fosse al corrente da fonti indirette e che ha accettato di parlare con noi a condizione che il suo nome non fosse pubblicato.
Secondo la sua versione, quello stesso anno (1969) arrivò un primo e unico contingente di 33 palestinesi, che ricevette in 24 ore passaporto e nazionalità paraguaiana, ma l’operazione fu immediatamente interrotta quando il piano arrivò alle orecchie del dittatore, che presumibilmente non ne era a conoscenza (qualcosa di abbastanza difficile da immaginare).
Sempre secondo questa fonte, Stroessner manteneva allora buoni rapporti sia con i Paesi arabi che con Israele e non volle essere coinvolto nell’operazione, quindi non solo licenziò il Direttore della Migrazione, ma convocò anche i rappresentanti dei Paesi arabi presenti in Paraguay per aggiornarli. Erano Rafael Nasta, console onorario della Giordania; Jorge Daniel Nasta, console onorario della Siria (rispettivamente padre e zio del noto pubblicista Daniel); ed Emilio Fadlala, Console Onorario del Libano, tutti e tre ormai defunti.
Tuttavia, secondo la nostra inchiesta, Benítez Vera continuò come Direttore delle Migrazioni fino al 1976, e certamente Stroessner non rimosse Montanaro.
Sotto il tappeto
Un’ipotesi più probabile è che il piano sia andato in pezzi quando avvenne l’attacco all’ambasciata israeliana, che non fu motivato politicamente. Gli aggressori non erano professionisti, ma due giovani quasi adolescenti, senza formazione, che ingenuamente si lasciarono catturare
La stessa fonte commenta che Israele aveva promesso ai palestinesi uno stipendio mensile per sopravvivere in uno Paese straniero di cui non conoscevano neppure le basi della lingua. Quei pagamenti furono ridotti e distanziati, il che generò una crescente tensione tra gli immigrati. I due giovani si procurarono una pistola e riuscirono ad entrare nell’ambasciata con l’intento di minacciare Benjamin Varon e di chiedere il denaro concordato. Quando la segretaria alzò il telefono per comunicare con l’ambasciatore, credettero sicuramente che stesse chiamando la polizia, ebbero paura e reagirono con il noto tragico risultato.
Se fossero stati davvero terroristi, il comportamento della dittatura forse sarebbe stato diverso. Invece, la questione non fu pubblicizzata, i giovani furono processati in silenzio, ricevettero condanne relativamente lievi e Israele non rivendicò mai la loro estradizione. In altre parole, tutto fu messo sotto il tappeto.
Che ne è stato di loro?
Non sappiamo cosa sia successo a quei trenta immigrati; se sono rimasti, se sono partiti, se ci sono discendenti che vivono nel Paese. Ci affidiamo ai nostri lettori nel caso qualcuno sia in contatto con loro o possa fornire dati al riguardo.
Eran Cicurel è rimasto anche colpito dal fatto che Israele avesse stipulato accordi con un regime che aveva la reputazione di proteggere i criminali nazisti, e si chiede se l’intenzione di “esportare” i palestinesi abbia avuto qualche relazione con la decisione di sospendere la pratica di ” dare la caccia ai nazisti ”in Sud America, precisamente nel 1969. Non lo sappiamo.
Quello che sappiamo è che, come questa storia mostra ancora una volta, i nostri leader e i nostri politici di ieri e di oggi non si preoccupano troppo. Che le persone vengano spostate come un branco di animali e fatte atterrare in un paese sconosciuto senza alcun sostegno, è il minimo. Prestarsi da intermediari per vendere armi all’Apartheid in Sud Africa, che differenza fa? E attualmente, ingraziarsi con il regime cinese che schiaccia i diritti umani, che problema è? Approfittare della pandemia di covid per un golpe non è poi così male. Vendere l’interesse paraguaiano alle società binazionali? a quando venderanno le nostre vite? Per loro, l’unica cosa che conta è il ” compenso ” a loro dovuto.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina-org