Mentre molti studiosi islamici trarranno senza dubbio beneficio dal tesoro messo a disposizione dalla Biblioteca Nazionale di Israele, non dovrebbero tuttavia ignorare il contesto politico in cui ciò avviene.
Fonte: English Version
Gabriel Polley – 14 agosto 2020
Immagine di copertina: La Biblioteca Nazionale di Israele a Gerusalemme- Immagine del 2013 (AFP)
La Biblioteca Nazionale d’Israele (NLI) ha recentemente provocato ondate di eccitazione nella comunità globale degli studiosi accademici dell’Islam, annunciando di aver iniziato a digitalizzare più di 2.500 inestimabili manoscritti islamici.
Tra questi tesori, che saranno resi disponibili gratuitamente online, ci sono una copia del XV secolo dell’opera del poeta classico iraniano Nur al-Din Jami e un minuscolo Corano del X secolo indossato come amuleto da un soldato ottomano durante l’assedio di Vienna nel 1529.
Questi manoscritti appartengono indubbiamente al patrimonio dell’umanità e la scelta di renderli disponibili a tutti va accolta con favore. Molti sono troppo delicati per essere messi in mostra in modo permanente e sono rimasti inaccessibili agli studiosi, in particolare a quelli appartenenti ai Paesi a maggioranza araba e islamica, a cui Israele nega l’ingresso all’interno dei suoi confini.
Tuttavia, nella decisione della NLI vi è un aspetto politico che non può essere ignorato.
Collezione di prim’ordine
Mentre un recente articolo sulla NLI affermava che “forse l’ultimo posto in cui si potrebbe pensare di cercare una collezione di manoscritti islamici e tesori in lingua araba di importanza mondiale, sarebbe Gerusalemme”, ci sono tutte le ragioni per cui Gerusalemme detenga una tale collezione.
Per secoli Gerusalemme è stata il centro di pellegrinaggi da tutto il mondo islamico. Attirati dalla Moschea di al-Aqsa, arrivavano a Gerusalemme pellegrini musulmani provenienti da paesi lontani come l’Asia meridionale e l’Africa occidentale, tra cui molti studiosi. Già nel 13 ° secolo, all’interno di al-Haram al-Sharif, il complesso che comprende al-Aqsa, c’era una scuola letteraria
Mentre la NLI sta aprendo i suoi archivi islamici … gli archivi sugli aspetti più oscuri del passato di Israele rimangono saldamente chiusi
La Palestina ospitava anche due delle più grandi biblioteche del mondo islamico. Più di due secoli fa, nella città settentrionale di Acri, nell’attuale Israele, venne fondata la biblioteca della moschea al-Jazzar .
Nel 1799, durante il tentativo di invasione della Palestina da parte di Napoleone, l’area fu pesantemente bombardata, ma gli Ottomani restaurarono la biblioteca che era liberamente disponibile sia per i musulmani che per i non musulmani.
La Biblioteca della Moschea di Al-Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme fu fondata nel 1922, ricevendo donazioni non solo di storici manoscritti islamici, ma anche di giornali laici e riviste scientifiche raccolte dall’élite intellettuale palestinese. Le collezioni di entrambe queste biblioteche sono già state digitalizzate dal programma Endangered Archives.
Altre biblioteche e collezioni private furono istituite in Palestina all’inizio del XX secolo, con l’aumento dell’alfabetizzazione. Ma lo sviluppo dell’erudizione, islamica e non, fu bruscamente interrotto dalla Nakba del 1948, dalla dichiarazione dello stato di Israele e dalla fuga di circa 750.000 profughi palestinesi dalle loro case.
Nella sola Gerusalemme ovest, completamente svuotata della sua popolazione palestinese, furono lasciati indietro 30.000 libri. Circa 6.000 di queste opere sono finite nella NLI, mai restituite ai legittimi proprietari.
Cuore spezzato tra i rifugiati
La perdita di così tanta eredità scritta spezzò il cuore ai rifugiati palestinesi. L’intellettuale gerosolimitano Khalil al-Sakakini, esiliato al Cairo dopo il 1948, scrisse dei suoi libri: “Siete stati saccheggiati? Bruciati? Siete stati cerimoniosamente trasferiti in una biblioteca privata o pubblica? Siete finiti sugli scaffali dei negozi di alimentari, con le vostre pagine usate per incartare le cipolle? ”
L’accademico israeliano Gish Amit ha sostenuto che l’appropriazione dei testi della Palestina da parte dello Stato israeliano dopo il 1948 faceva parte di una strategia deliberata basata “non solo sull’eliminazione della presenza dei palestinesi, ma anche sulla cancellazione della loro cultura”.
Non tutti i testi islamici della NLI sono stati acquisiti in questo modo. Molti dei testi che presto saranno digitalizzati furono raccolti da Abraham Shalom Yahuda, un ebreo arabo nato a Gerusalemme nel 1877, la cui biblioteca privata fu donata alla NLI dopo la sua morte, nel 1951.
Yahuda fu affascinato per tutta la vita dalla storia araba e islamica e tenne conferenze su questo tema in diverse università europee. Tuttavia, considerarlo come un ponte tra i musulmani della Palestina e gli ebrei prima del 1948 è una visione piuttosto semplicistica.
Acquistando collezioni dalle biblioteche di tutto il mondo arabo e agendo spesso come intermediario per il British Museum, si identificava politicamente con i sionisti revisionisti, il movimento di destra che sosteneva una supremazia ebraica militarizzata in Palestina – i precursori del Likud di Benjamin Netanyahu.
Visto in questa luce, Yahuda si rivela come il primo di una lunga serie di studiosi orientalisti israeliani il cui interesse per la cultura islamica paradossalmente derivava, come avrebbe potuto dire Edward Said, dalla “volontà di esercitare potere sull’Oriente ” in generale, e la volontà di Israele di esercitare il potere sulla terra palestinese in particolare.
Suprema ironia
Va anche notato che mentre la NLI sta aprendo i suoi archivi islamici – forse come segno di apertura verso gli Stati arabi, soprattutto quelli del Golfo, con cui Israele sta approfondendo i legami – gli archivi sugli aspetti più oscuri del passato di Israele rimangono saldamente chiusi.
Mentre la NLI sta aprendo i suoi archivi islamici – forse come segno di apertura verso gli Stati arabi – gli archivi sugli aspetti più oscuri del passato di Israele rimangono saldamente chiusi
Spiegando che l’accesso del pubblico agli archivi è una parte vitale della “promozione e protezione dei diritti umani e della denuncia delle loro violazioni”, nel 2016 l’ONG israeliana Akevot scoprì che meno dell’uno per cento degli archivi di Stato israeliani era aperto ai ricercatori.
In particolare, se si considerano i documenti relativi alla Nakba del 1948, compresi i rapporti di operazioni di pulizia etnica, il quotidiano israeliano Haaretz ha riferito che “dall’inizio dell’ultimo decennio, squadre del ministero della Difesa [israeliano] hanno perlustrato gli archivi di Israele e rimosso documenti relativi alla Nakba”.
Eppure, forse la suprema ironia è che la NLI, un organo dello stato israeliano, sta intraprendendo questa mossa di apparente apertura e riconciliazione con il mondo arabo e islamico nello stesso momento in cui Israele si prepara per la sua invadente annessione della Valle del Giordano.
Ciò lascerebbe i 56.000 residenti palestinesi della Valle, i discendenti contemporanei di quella società un tempo fiorente che produceva letteratura e insegnamenti rinomati in tutto il mondo arabo, in una posizione di profonda precarietà e insicurezza.
Anche se molti studiosi islamici trarranno senza dubbio beneficio dal tesoro reso disponibile dalla NLI, non dovrebbero ignorare il contesto politico, o dimenticare i palestinesi a cui appartengono quei tesori rubati a cui possono finalmente accedere.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.
Gabriel Polley è ricercatore presso il Centro Europeo per gli Studi sulla Palestina, Università di Exeter. Ha vissuto e lavorato in Palestina e i suoi interessi si concentrano sul coinvolgimento britannico nella tarda Palestina ottomana, sui movimenti rivoluzionari , l’ ambiente e la vita nella Palestina occupata di oggi.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org