Come nella la maggior parte degli aspetti della vita palestinese sotto l’occupazione israeliana, la più grande sfida nell’industria della pesca di Gaza non è il se o le fluttuazioni del mercato: ma semplicemente vivere per poter pescare un altro giorno.
Di Kathryn Shihadah – 14 Settembre 2020
La Striscia di Gaza, larga appena 9,5 Km, vanta una costa di 40 Km sul Mar Mediterraneo. La pesca è un’industria naturale in un luogo del genere e, fino al 2000, era un’attività redditizia per diecimila abitanti di Gaza. Oggi, solo circa 3.700 rimangono nel commercio della pesca e circa il 95% di questi vive al di sotto della soglia di povertà con poche speranze di miglioramento.
Il 9 settembre, l’Associazione Israeliana per i Diritti Umani B’Tselem ha pubblicato un rapporto sull’industria della pesca a Gaza. Descrive la difficile situazione in cui versano i palestinesi che cercano di guadagnarsi da vivere durante una pandemia e sotto l’assedio israeliano. Il rapporto include testimonianze fornite al ricercatore sul campo di B’Tselem Olfat al-Kurd dalle mogli e madri dei pescatori di Gaza, inclusa la storia di Ahmad, le cui giornate lavorative di dodici ore rendono meno di 125 euro al mese.
Come nella maggior parte degli aspetti della vita palestinese sotto l’occupazione israeliana, la più grande sfida nell’industria della pesca di Gaza non è il se o le fluttuazioni del mercato: ma semplicemente vivere per poter pescare un altro giorno.
Dove finisce il mare?
In questo momento, i pescatori di Gaza sono autorizzati da Israele a spingersi fino a 27 Km dalla costa di Gaza per l’attività di pesca. Ma la situazione è “mutevole” e può cambiare senza preavviso, come accadde il 12 agosto quando i funzionari militari israeliani emanarono una direttiva che ridusse “immediatamente” la zona di pesca da 27 Km a 15, la motivazione ufficiale addotta era il lancio di palloni incendiari da Gaza in Israele. Quattro giorni dopo, il mare era completamente interdetto per gli abitanti di Gaza ed è rimasto tale per oltre due settimane.
Un’organizzazione ha documentato venti modifiche ai confini di pesca nel solo 2019, quattro di queste erano chiusure totali. A volte, i pescatori non sanno dove sono i confini finché i soldati israeliani non iniziano a sparare.
Gli Accordi di Oslo, un accordo firmato sia da Israele che dalla dirigenza palestinese nel 1993, collocano il perimetro di pesca di Gaza a 37 Km dalla costa, solo il 10% di quello che alcuni esperti ritengono che la Palestina possa rivendicare come sua Zona Economica Esclusiva.
Nei ventisette anni dalla firma degli accordi di Oslo, Israele ha raramente consentito la pesca oltre i 12 Km.
Controllo del mare
Mentre la Marina israeliana pattuglia il mare di Gaza, viola quotidianamente molteplici leggi internazionali.
B’Tselem riporta un’intervista a Nura, alla cui famiglia sono stati sequestrati tre pescherecci; La famiglia di Ula ha perso due barche e quattro motori. Le donne hanno rivelato che Israele trattiene spesso le barche per anni; i motori spesso non vengono mai più restituiti, una pratica che viola il diritto internazionale. Negli anni centinaia di barche sono state sequestrate.
Le forze armate israeliane detengono e imprigionano anche i pescatori per presunta navigazione al di fuori dei confini che impongono, come nel 2017 con il figlio di Intesar, Khader, scomparso dopo aver intrapreso una battuta di pesca. Dieci giorni dopo, la sua famiglia ha scoperto che era stato arrestato e condannato a sedici mesi in una prigione israeliana per aver pescato “ripetutamente” al di fuori della zona consentita. L’anno scorso, Khader sarebbe scomparso di nuovo, questa volta gli avevano sparato alla testa e si trovava in un ospedale israeliano.
Il fuoco vivo in assenza di una minaccia immediata alla vita umana è la procedura operativa standard per l’esercito israeliano ed è una violazione del diritto internazionale. L’Organizzazione Israeliana per i Diritti Umani Gisha ha riferito di quasi un migliaio di tali attacchi armati in mare tra il 2010 e il 2017, con conseguenti cinque morti.
Zakaria Bakr, capo dell’Unione dei Pescatori di Gaza, spiega un’altra politica israeliana che aggiunge la beffa al danno: il blocco di Israele, giunto al tredicesimo anno, “vieta il passaggio di quasi tutto ciò di cui necessitiamo per mantenere efficienti le nostre barche”, inclusi motori, pezzi di ricambio, vetroresina, e corda. I pescherecci che sfuggono alla confisca e agli attacchi sono comunque malridotti, e metà dei pescatori registrati a Gaza non possono uscire perché le loro barche sono inutilizzabili.
La stessa presenza dell’esercito israeliano, che controlla i palestinesi, equivale di fatto a un’occupazione. Mentre il governo israeliano insiste sul fatto di essersi “disimpegnato” quando Israele ha lasciato Gaza, in realtà è pienamente “impegnato”, solo che ora lo è da oltre confine. Israele controlla i confini terrestri di Gaza e tutte le uscite, il suo spazio aereo e il mare, e gestisce tutte le importazioni ed esportazioni di merci.
Forse il crimine più evidente di tutti risiede nella motivazione di Israele per tormentare e perseguitare i pescatori. Come i dirigenti israeliani hanno chiarito più e più volte, l’espansione e la contrazione della zona di pesca sono un tentativo di punire tutta Gaza per la “trasgressione” dei pochi che osano sfidare l’oppressione israeliana. In realtà, il diritto internazionale riconosce il diritto di una popolazione occupata di resistere al suo occupante, anche tramite la resistenza armata.
Quando, ad esempio, i militanti rilasciano palloni o razzi incendiari, o quando i palestinesi in Cisgiordania “reagiscono”, i pescatori di Gaza (e le loro famiglie e risorse) pagano per questo. Questa è una forma di punizione collettiva, una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.
Gravi difficoltà
L’esistenza di una famiglia di pescatori, come la maggior parte delle famiglie che vivono a Gaza, è spesso impegnata a sopravvivere. Nura Nu’man, una madre di due figli del campo profughi di a-Shati il cui marito Muamen è un pescatore, si è lamentata con B’Tselem: “La mia vita è assoggettata a prestiti e debiti”. La stragrande maggioranza dei pescatori vive con meno di 4 euro al giorno, costringendoli a fare scelte difficili, come se rischiare di uscire in mare durante una chiusura del mare o chiedere ai propri figli di abbandonare la scuola.
Anche quando c’è un buon pescaggio, gli abitanti di Gaza non possono permettersi di comprare il pesce come una volta, specialmente durante la pandemia. Se ci sono rimanenze di pesce alla fine della giornata, le continue interruzioni elettriche, dovute al blocco israeliano del carburante necessario per alimentare i generatori, rendono impossibile tenerli refrigerati per la vendita la mattina successiva.
Poi c’è il bilancio emotivo. Intesar, una madre di sei figli del campo profughi di a-Shati’, ha descritto l’immaginaria battuta di pesca, per gioco, dei suoi giovani nipoti in cui si avvertivano a vicenda di” fare attenzione agli spari”; I figli di Ula soffrono di ansia. Nessuno vuole che la prossima generazione intraprenda il mestiere dei loro padri, ma le opzioni sono limitate dalla chiusura economia.
Complicità
Israele è stato ammonito da innumerevoli gruppi per i diritti umani e centinaia di risoluzioni delle Nazioni Unite sulle sue violazioni dei diritti umani conto i palestinesi a Gaza. Un preoccupante rapporto delle Nazioni Unite ha avvertito che, a meno che Israele non cambi le sue politiche, Gaza diventerà “inabitabile” entro il 2020. B’Tselem ha sottolineato che “piuttosto che cambiare le sue politiche. Israele le ha rese più severe peggiorando ulteriormente la situazione”, aggiungendo che “Israele potrebbe cambiare istantaneamente questa realtà opprimente. Invece, sceglie di costringere i residenti di Gaza a vivere in uno stato di povertà, stagnazione e disperazione”.
Gli Stati Uniti, da parte loro, continuano a finanziare il governo israeliano per un importo di 10 milioni di dollari al giorno, in aiuti militari, ed entrambe le camere del Congresso rimangono ossessionate dal sostenere e finanziare Israele in ogni occasione, sebbene gli americani nel complesso siano fortemente a favore del condizionare tali aiuti. La Camera è persino riuscita a ignorare un disegno di legge per proteggere i bambini palestinesi dall’essere torturati a spese dei contribuenti americani.
Tuttavia, vi sono prove di un’inversione di tendenza nel sostegno a Israele, soprattutto tra i democratici. Ma i sostenitori di Israele stanno combattendo il cambiamento con forza e fino a quando le voci per la giustizia non saranno più alte delle voci per il sostegno incondizionato a Israele, gli Stati Uniti saranno complici dell’agonia dei palestinesi.
Quando gli alleati di Gaza gridano: “Non hanno pesce”, gli americani rispondono, “che mangino dell’altro”.
Kathryn Shihadah scrive per MintPress News e If Americans Knew. Documenta regolarmente l’ingiustizia e la demonizzazione che i palestinesi affrontano per mano di Israele con la complicità degli Stati Uniti, in particolare la comunità cristiana. Kathryn vive in Medio Oriente da dieci anni e ha viaggiato molto. Scrive su PalestineHome.org.
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org