Entrarono nella stanza d’albergo uno alla volta e commisero il loro atto spregevole, e il paese fu sconvolto dallo shock. Gli ordinarono di spogliarsi e li picchiarono, uno dopo l’altro, con un bastone di bambù e un tirapugni, mentre giacevano indifesi e sanguinanti a terra. Quattordici casi di tali crudeli abusi, e Israele ha finto di non vedere.
Di Gideon Levy – 13 Settembre 2020
Secondo l’accusa, a Eilat si è trattato dello scioccante stupro di gruppo di un’adolescente indifesa da parte di diversi giovani, quattro dei quali l’hanno violentata. Al checkpoint di Meitar, gli uomini in questione erano cinque agenti della polizia di frontiera in servizio che hanno perpetrato i loro abusi in nome dello stato, a nome di tutti gli israeliani, contro lavoratori palestinesi inermi che hanno rapito nel cuore della notte, lontano da occhi indiscreti, per poi picchiarli e derubarli dei loro averi.
Sono della stessa generazione, gli imputati di Eilat e di Meitar. Provengono tutti dalla stessa città, Israele, quella del 2020, e parlano il linguaggio della violenza. Lo stupro a Eilat potrebbe non essere il risultato del comportamento selvaggio degli agenti di polizia di frontiera a Meitar, ma una linea diretta collega i due diversi casi: la linea di crudeltà verso coloro che sono più deboli. L’occupazione non è da incolpare di tutto, ma il suo spirito è lo spirito di Israele: ciò che è accettabile a Meitar, è accettabile ad Aya Napa ed Eilat.
Lo stupro è stupro, non sminuiamo la gravità di quell’atto, un minore è un minore e l’indignazione pubblica è giustificata, comprensibile e umana. Ciò che non è umano è la vergognosa indifferenza per un altra aggressione, non meno brutale, a Meitar, anche se non è stato un atto di violenza sessuale. Tra Eilat e Meitar c’è più somiglianza di quanto sembri, anche se la vittima a Eilat era una ragazzina, mentre a Meitar erano giovani lavoratori palestinesi indifesi.
Naturalmente non è necessario essere una donna per cogliere l’enorme dolore, l’umiliazione e il trauma della violenza sessuale. Ma bisogna essere umani per capire che se un uomo armato e violento ti ordina di spogliarti in modo da poterti frustare, in presenza di un’ufficiale donna della polizia di frontiera che sta ridendo e scattando foto con il suo cellulare, l’angoscia aumenta, il sangue scorre e la paura prende il sopravvento, e con essa, una terribile umiliazione e il pensiero che la morte è vicina. La somiglianza tra i due diversi tipi di violenza è più di quanta sembri. La barbarie è la stessa barbarie, l’impotenza è la stessa impotenza e il trauma è lo stesso trauma, a volte permanente.
Ho incontrato una delle vittime del sadismo della polizia di frontiera. Sembrava essere ancora sconvolta alcuni giorni dopo. Non ha senso confrontare un tipo di dolore con un altro; non c’è motivo di distinguere tra lo stupro e altri crimini spregevoli. Una società che è sconvolta dallo stupro di gruppo e ignora quasi completamente un diverso tipo di aggressione di gruppo, solo perché i suoi autori erano in uniforme e le sue vittime erano palestinesi, è una società immorale.
Questi sono tempi in cui gli uomini che commettono violenza sessuale vengono condannati e banditi dalla società. Ma se un pubblico ufficiale violento aggredisce un uomo anziano che si sorregge con un bastone, lo sbatte a terra, lo prende a calci e pugni, premendogli un ginocchio sul collo, questo non è meno grave della violenza sessuale, specialmente quando è commessa da un agente in uniforme di servizio.
La guerra pubblica degli ultimi anni contro le aggressioni sessuali non può essere lasciata sola sul campo di battaglia. Altri abusi reclamano lo stesso confinamento, la stessa gogna pubblica e la stessa lotta determinata contro di essi. Alcune persone perdono il loro intero mondo, anche se non subiscono un processo, a causa di sospetti di violenza sessuale emersi dal loro passato, mentre altri che abusano di persone inermi continuano la loro vita come se nulla fosse accaduto.
Gli agenti della polizia di frontiera che hanno commesso gli abusi a Meitar sono attualmente sotto processo, il che è quasi senza precedenti, ma sembra che la maggior parte del rigore del sistema legale sarà diretto contro le accuse di furto di denaro alle vittime. Se gli agenti avessero solamente picchiato quest’ultime, possiamo presumere, che sarebbero rimasti impuniti.
È così con un doppio standard. La guerra contro la violenza sessuale non sarà mai completamente giustificata se la società continua a chiudere un occhio su altre forme di brutale violenza, del tipo che viene dispensata ogni giorno sotto l’occupazione sionista ed è rivolta a persone non meno indifese delle vittime di violenza sessuale.
Gideon Levy (nella copertina) è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato appena pubblicato da Verso.
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org