…finché le vittime del sionismo e dell’occupazione continueranno a tagliare alberi nei campi per noi, non c’è motivo di orgoglio.
Di Gideon Levy – 17 Settembre 2020
Un gruppo di operai palestinesi si appoggiò sugli alberi abbattuti che furono trascinati come cadaveri da un trattore, e segarono i tronchi in piccoli ceppi. La prima luce stava sorgendo sui campi a nord di Tel Aviv. A poche centinaia di metri da lì, un quartiere residenziale dormiva ancora; il rumore delle motoseghe e il fumo non avevano penetrato le spesse finestre delle eleganti ville.
I lavoratori con i loro abiti logori e stracciati lavoravano senza alcun tipo di equipaggiamento protettivo. Avevano lasciato le loro case in Cisgiordania nel mezzo della notte e sono passati attraverso gli umilianti checkpoint per tagliare gli alberi lungo l’autostrada Ayalon, dove si sta costruendo una nuova corsia per decongestionare la viabilità. Chi viaggia in autostrada non ha ricambiato nemmeno uno sguardo ai lavoratori che renderanno il loro viaggio più facile in futuro. Questo è l’ordine naturale delle cose: i palestinesi come taglialegna per gli israeliani.
Hanno lavorato così sotto il sole cocente tutto il giorno. L’appaltatore israeliano sedeva all’ombra e controllava da lontano. Lo spettacolo ricordava l’ambientazione schiavista negli Stati Uniti o l’apartheid in Sud Africa; il quartiere di lusso sullo sfondo, l’appaltatore israeliano, i lavoratori palestinesi, i salari da fame, il ritorno nel ghetto la sera; in una moltitudine bianca, un gruppo di neri fa la raccolta.
Ore dopo, a Washington furono firmati gli accordi tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Non bisogna sottovalutare il loro valore o la loro importanza, né lesinare i complimenti al primo ministro per averli raggiunti. Hanno promosso l’accettazione di Israele nella regione, dopo anni in cui Israele ha voltato le spalle e puntato le armi nella loro direzione. Ma nulla di ciò che è stato firmato a Washington cambierà la realtà del campo di alberi abbattuti a nord di Tel Aviv. La tirannia, lo sfruttamento e l’esproprio rimarranno tali.
Gli accordi sono stati firmati alla vigilia di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico. Questo è un ottimo momento per chiedere: Di cosa vai fiero quando pensi allo Stato di Israele? Di tutto quello che ci hanno detto durante la nostra infanzia e inculcato durante l’adolescenza, cosa rimane di cui essere orgogliosi?
Gli israeliani amano lamentarsi del loro paese, ma ne sono ancora molto orgogliosi. Il loro orgoglio, che molto rapidamente si trasforma in arroganza, è particolarmente marcato quando visitano altri paesi: Gli americani sono ingenui, i tedeschi sono inquadrati, gli italiani sono stupidi, i cinesi sono strani, gli scandinavi sono fessi, gli arabi sono arretrati e gli africani primitivi. Israele è il massimo. Non si può fare a meno di incontrare la condiscendenza, soprattutto tra i giovani, in ogni escursione in Sud America e in ogni Casa Chabad [1] in Asia. Ci partoriscono in casa e ci nutrono a scuola e nell’esercito. Siamo i migliori. Non c’è nessuno come noi. È uno dei maggiori ostacoli al raggiungimento della pace nella regione.
La realtà avrebbe dovuto far vergognare ogni israeliano del proprio paese, a causa dell’occupazione, ma non è tutto. La violenza di strada, l’emarginazione, l’aggressione, l’ignoranza, il razzismo, l’ultra-nazionalismo, la maleducazione, l’indigenza, il sistema sanitario al collasso, l’esercito eroico principalmente contro i deboli e costruito sul marciume morale, la mancanza di considerazione per gli altri in tutti gli aspetti della vita, e ora la gestione vergognosa della pandemia. Ma meraviglia delle meraviglie, gli israeliani sono ancora convinti di essere i migliori. La nazione start-up. Start-up di cosa, esattamente? Irrigazione a goccia?
La miracolosa fondazione dello Stato, che fu un evento straordinario e senza precedenti, anche se basato su una totale e profonda ingiustizia, giustificava davvero l’altissimo orgoglio nazionale. Nella parte anteriore dell’autobus che trasportava la delegazione giovanile di cui facevo parte alla fine degli anni ’60, sventolavamo orgogliosamente la bandiera israeliana. Oggi, in molti di quei paesi dobbiamo nascondere tutto ciò che ci identifica come israeliani, per la vergogna.
Possiamo e dobbiamo essere orgogliosi del nostro Primo Ministro, che è stato al fianco del presidente degli Stati Uniti e di due ministri degli esteri arabi nel prato sud della Casa Bianca. Ma finché le vittime del sionismo e dell’occupazione continueranno a tagliare alberi nei campi per noi, non c’è motivo di orgoglio.
Note:
Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato appena pubblicato da Verso.
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org