Alì se n’è andato, la terra di Palestina scompare ma nessuno cancellerà il suo popolo.
Roberto Prinzi 25 settembre 2020
Se n’è andato come oltre 35.000 persone da fine febbraio. Se n’è andato solo in una stanza di ospedale di Napoli. Se n’è andato solo in una stanza di ospedale lontano migliaia di chilometri dalla sua Terra, la Palestina, perché così ha deciso Israele nel 1948 e nei decenni a seguire. Alì se n’è andato e come tanti connazionali che lo hanno preceduto non saprà mai se la sua terra per cui si è battuto fino all’ultimo secondo della sua vita sarà libera e se un giorno, e sarà Il Giorno, la sua famiglia potrà ritornare nella sua casa.
Alì se n’è andato e con lui ce ne andiamo anche noi con i ricordi del tempo vissuto insieme. I viaggi sul bus verso Roma, quando la Palestina era la questione di ogni attivista e militante di sinistra che volesse avere un minimo di credibilità. Eppoi gli infiniti incontri in città per denunciare l’occupazione israeliana. Il suo saluto quando lo incontravi con la mano sul cuore. I suoi occhietti vispi e la barba sempre un po’ incolta.
Riaffiorano anche gli screzi, i litigi, le incomprensioni. Anche quello “stronzo” che una volta mi rivolse e che in fondo adesso vorrei me lo dicesse all’infinito. Per qualche giorno calò un silenzio tra noi, ma poi si tornò a parlare come prima. Perché continuare a nutrire rancore quando un popolo, il suo popolo, sta scomparendo? Perché innalzare muri, quando si denuncia nello stesso tempo quello vero, il Muro dell’apartheid israeliano, che distrugge ciò che resta di Palestina? Ricordo la “B” al posto della “P” che ogni tanto scambiava da buon arabofono. Ricordo che ridemmo una volta di quello. Eppoi c’è il suo negozietto, pieno di cianfrusaglie alcune davvero orrende, e lui sempre pronto ad offrire idee per riportare al centro del dibattito la Palestina nel tentativo costante di aggregare nuove voci.
Perché Alì amava sinceramente la Palestina e neanche per un attimo ci ha mangiato sopra. Alì era quello che se ti beccava e ti dava a parlare potevi perdere ore intere. Ma Alì era soprattutto una brava persona – dove bravo è qui un aggettivo nobile e non fesso come spesso si pensa a Napoli – che credeva nella giustizia del suo popolo e nella giustizia dei popoli. Quando c’era un incontro, lasciava semplicemente una scritta sul suo negozio. Perché qualche misero euro poteva attendere. La Palestina aveva la priorità.
Alì se n’è andato e noi ce ne andiamo un po’ con lui con i ricordi. Ma almeno a noi è concesso di ritornare. Noi che fortunatamente non sappiamo e non capiremo mai quel senso di estraneità che vive in cuor suo ogni palestinese. Perché forse quella è la più grande delle violenze che subiscono.
Noi, a differenza dei palestinesi, possiamo ritornare alle nostre case, nelle nostre città e rivedere i nostri familiari. Anzi dobbiamo ritornare dai nostri ricordi per continuare quello che Alì ha fatto per una vita intera gridando e lottando veramente per una Palestina libera. Non è solo uno slogan, ma è una dichiarazione politica. Di scelta di vita. Da che parte stare del mondo. Di chi riconoscere come i propri fratelli e sorelle.
Alì se n’è andato, la terra di Palestina scompare ma nessuno cancellerà il suo popolo.
Che la terra ti sia lieve, caro Alì