Il Diritto Internazionale sembra giusto quando non ti persegue. Perché secondo il Diritto Internazionale tutti sono uguali. Ma poi alcuni sono più uguali di altri, e hanno bisogno di “sicurezza universale”.
Di Jonathan Ofir – Settembre 2020
La scorsa settimana, un legislatore israeliano ha definito Omar Barghouti, il co-fondatore della campagna per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), impegnato nel contrastare le violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi, una minaccia alla “sicurezza universale” di Israele. Questo è un termine di inimicizia che questo intellettuale finora non aveva mai ricevuto da nessuno in assoluto (ndt. premio Gandhi Peace Award in 2017).
Chiedendo con impazienza dello status di espulsione di Barghouti da parte dello Stato, Keti Shitrit del Likud ha sottolineato i peccati capitali di Barghouti: colpevole di operare “ovunque” per boicottare Israele (non è quello che fanno gli attivisti diligenti?), e di “delegittimare lo stato di Israele”.
Vedete, Omar Barghouti crede nel modello di uno Stato laico democratico, che è ovviamente un ostacolo alla costruzione dello Stato ebraico.
La guerra contro Barghouti
Nel 2016, l’allora ministro dei Trasporti e dei servizi segreti Israel Katz, propose “eliminazioni civili mirate” dei leader del BDS. Lo ha detto in una conferenza anti-BDS sponsorizzata dal quotidiano israeliano centrista Yediot Aharonot. Nello stesso evento, il ministro dell’Interno Aryeh Deri ha affermato di essere alla ricerca di modi per revocare la residenza di Barghouti, che ha sposato una cittadina palestinese di Israele e vive con lo status di residente nella città di Acri.
L’anno scorso, il vice procuratore generale Dina Zilber ha comunicato all’ufficio del ministro dell’Interno Deri che aveva l’autorità di revocare la residenza di Barghouti. La base giuridica: un emendamento del 2018 alla legge sulla cittadinanza, che elenca la “violazione della lealtà allo Stato” come un crimine che può giustificare la revoca dello status di residente. Adalah, il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele, sottolinea che la clausola è stata introdotta per facilitare l’espulsione di quattro parlamentari palestinesi da Gerusalemme est (un caso che risale al 2010). La clausola è stata introdotta dopo che la Corte Suprema Israeliana ha ritenuto illegale l’espulsione dei parlamentari, dal momento che è stata eseguita in base a un principio non legale di “violazione della lealtà”. Così i legislatori israeliani hanno trasformato in legge la “violazione della lealtà”.
Si potrebbe pensare che Israele potrebbe applicare la clausola di lealtà per espellere Barghouti sulla base delle sue opinioni politiche e del suo impegno nella lotta per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza.
Ma Israele è consapevole che esiliare un leader di primo piano sotto tali radicali misure gli si ritorcerà contro. Quindi sembra che stia cercando un “problema di sicurezza” per sbarazzarsi di Barghouti. E qui si trova di fronte a un problema: un problema di sicurezza non esiste.
Sicurezza “universale”
La scorsa settimana, una domanda è stata presentata dal legislatore del Likud Keti Shitrit durante il consiglio parlamentare, Keti Shitrit ha chiesto lo stato del caso di espulsione di Barghouti.
Shitrit si è rivolta al vice ministro dell’interno Yoav Ben Tzur (del partito Shas):
“Signor Vice Ministro, in seguito all’annuncio del Vice Procuratore Generale, Dina Zilber, che è nella sua autorità revocare la residenza di Omar Barghouti, lei ha incaricato di preparare un parere legale”. Volevo chiedere:
È stato ricevuto un parere legale? Intende agire immediatamente per annullare la residenza del signor Barghouti?
Ben Tzur ha risposto:
“Poiché fino a questo momento non vi è alcuna indicazione da parte dell’apparato di sicurezza di revocare la cittadinanza del signor Barghouti, non è stato richiesto un parere legale nel caso. Il Ministro dell’Interno continuerà ad esaminare la questione sempre secondo gli sviluppi del caso Barghouti e secondo le indicazioni dell’apparato di sicurezza. Come può essere richiesto, il Ministro dell’Interno agirà per revocare la sua residenza. Il Ministro dell’Interno ha già annullato la residenza a coloro per cui si è resa necessaria la revoca, ma al momento non essendoci un parere sulla sicurezza che lo richieda, il ministro non la revoca”.
Shitrit insiste:
“Non stiamo parlando di una violazione della sicurezza, stiamo parlando di una violazione della “sicurezza universale” dello Stato di Israele. Questa persona sta operando ovunque possibile, fomentando un boicottaggio su Israele, anche nell’ambito culturale e accademico. Quest’uomo vuole delegittimare completamente lo Stato di Israele. Com’è possibile che quest’uomo continui a essere residente nello stato?”
Torneremo a quella richiesta di “sicurezza universale” tra un attimo. Ma prima, dobbiamo sottolineare che la risposta di Ben Tzur ha chiarito che questa affermazione non poteva davvero avvalorarsi.
Ben Tzur:
“La revoca della residenza ha regole e normative. Il ministro lavora secondo queste regole e soprattutto secondo una valutazione della sicurezza”.
Questa è una discussione importante. L’appello disperato di Shitrit, in sintesi, richiede una sorta di eliminazione extragiudiziale, come “l’eliminazione civile mirata” di Katz. Vuole che sia “civile”, ma poiché la sua richiesta non può essere sostenuta da una vera e propria richiesta di sicurezza, conia un nuovo concetto: “sicurezza universale”.
Gli Stati non hanno una sicurezza universale, poiché per definizione non controllano l’universo, ma solo il proprio territorio. Uno stato non può proteggersi da tutto, specialmente non dall’espressione politica democratica e non violenta. Farlo sarebbe un chiaro segno di autocratismo.
La risposta di Ben Tzur mostra anche che Israele ha bisogno di un pretesto di sicurezza per contrastare l’attivismo di Barghouti, che non ha. Non è in quanto lasciarlo andare, ma aspettare attivamente che si presenti un tale pretesto. La nuova clausola della legge sulla cittadinanza riguardante la “lealtà” potrebbe apparentemente essere applicata, ma sembrerebbe che applicarla esporrebbe ulteriormente la natura totalitaria di Israele.
Questo dilemma ricorda lo stesso problema che si è presentato nell’assassinio extragiudiziale del sospetto palestinese Abdel Fatah al Sharif, per strada, a Hebron, da parte del medico militare Elor Azarya nel 2016. Sebbene la pratica fosse regolare, eseguita “centinaia di volte” secondo i difensori di Azarya, e sostenuto dalla sicurezza e dai leader politici dell’epoca, l’omicidio ha presentato un problema d’immagine, poiché è stato filmato. Quindi, Azarya doveva aver “sbagliato”, e ha ricevuto una punizione simbolica che alla fine si è conclusa con una pena detentiva di 9 mesi, al ritorno dalla quale è stato accolto come un eroe, una vittima del politicamente corretto.
Israele vuole “eliminare” Omar Barghouti, ma non vuole che la sua eliminazione gli crei una cattiva reputazione, perché evitare un danno d’immagine è, dopo tutto, lo scopo dell’intera campagna contro Barghouti.
Quando uno stato cerca di ottenere una “sicurezza universale”, significa realmente che desidera dotarsi di un’immunità che negherebbe agli altri. Il legislatore del Likud Avi Dichter (ex capo dell’agenzia per la sicurezza interna Shabak) ha presentato una proposta di legge in base alla quale ai funzionari della sicurezza israeliana verrebbe fornita quella che ha definito “difesa sovrana” per proteggersi dalla Corte Penale Internazionale, nel caso fossero emessi mandati di arresto contro di loro. Dichter sembra prendere spunto dagli Stati Uniti, che hanno lanciato la propria campagna di intimidazione contro la Corte Penale, attraverso un ordine esecutivo che autorizza sanzioni contro coloro che collaborano con la Corte Penale Internazionale.
Il Diritto Internazionale sembra giusto quando non ti persegue. Perché secondo il Diritto Internazionale tutti sono uguali. Ma poi alcuni sono più uguali di altri, e hanno bisogno di “sicurezza universale”.
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org