Sperando di trarre profitto, proteggere un’importante fonte di petrolio e inimicarsi il vicino Iran, Israele vende droni e armi all’Azerbaigian, alimentando il conflitto in Nagorno-Karabakh.
Di Raul Diego – 19 ottobre 2020
Foto di copertina: Un uomo recide la coda di un razzo multiplo dopo il bombardamento dell’artiglieria dell’Azerbaigian durante un conflitto militare a Shushi, fuori Stepanakert, la regione separatista del Nagorno-Karabakh, 18 ottobre 2020. Foto | AP
L’ultima iterazione del conflitto del Nagorno-Karabakh, che ha già causato la morte di decine di persone, era stata in gran parte dimenticata dal mondo prima che le ostilità si riaccendessero a settembre. Solo il crollo dell’Unione Sovietica è stato in grado di portare alla fine dell’ultima guerra tra questi nemici trincerati negli anni ’80 e ’90. Ora, quasi un quarto di secolo dopo, la regione ancora contestata rivendicata dall’Azerbaigian ai sensi del diritto internazionale e di fatto controllata dalla sua maggioranza etnica armena è caduta sotto un nuovo periodo di violenza grazie in gran parte ad attori esterni in lizza per una guerra più ampia con un altro paese vicino: l’Iran.
Tre settimane fa, una disputa su un pezzo di territorio nelle montagne del Caucaso è scoppiata in una guerra calda tra le due ex repubbliche sovietiche di Azerbaijan e Armenia, inviando civili in Nagorno-Karabakh a cercare riparo nei loro scantinati dagli attacchi aerei dei droni che seminano morte e distruzione dal cielo.
In un video analizzato da Franceinfo, un drone “kamikaze” 1K Orbiter è stato trovato intatto per le strade dell’enclave di etnia armena vicino al confine azero-armeno. Come suggerisce il suo soprannome, questa classe di veicoli aerei senza pilota (UAV) è così chiamato perché una volta che i suoi operatori agganciano un bersaglio a terra, l’UAV gli si lancia contro con una carica esplosiva.
Il drone è stato sviluppato dalla principale società israeliana di sistemi aerei senza equipaggio (UAS) Aeronautics Defense Systems, che ha uno stabilimento di produzione in Azerbaigian dal 2011. La scoperta dell’uso del drone da parte delle forze azere nella regione di confine contesa ha evidenziato il centrale, ma in gran parte sottostimato, ruolo che Israele sta svolgendo in questo conflitto, dando all’esercito azero un deciso vantaggio contro gli armeni.
Inoltre, il chiaro sostegno della Turchia allo Stato azero lascia la nazione a maggioranza cristiana dell’Armenia contro le due maggiori potenze regionali oltre alla Russia, che cinque giorni fa ha invitato entrambe le parti coinvolte nel conflitto a rispettare un secondo accordo di cessate il fuoco mediato il 10 ottobre 2020, a Mosca. La tregua avrebbe dovuto entrare in vigore sabato, ma il fuoco di artiglieria pesante, missili e droni hanno continuato a cadere nella zona del conflitto domenica, con entrambe le parti che incolpavano l’altra per aver violato il tentativo di armistizio. La natura religiosa delle origini del conflitto contribuisce a mascherare la partecipazione attiva di interessi esterni che intendono alimentarlo per i propri scopi geopolitici.
Oro nero a Baku
Il controllo sulle risorse naturali è praticamente alla base di ogni singolo conflitto militare del ventesimo secolo e di molti di quelli che infuriano in tutto il mondo all’inizio del ventunesimo. Il crescente conflitto nel Caucaso non fa eccezione, nonostante i motivi apparentemente religiosi che alcuni vorrebbero attribuire alle parti coinvolte.
Mentre l’Azerbaigian a maggioranza musulmana potrebbe sembrare un nemico naturale dell’Armenia a maggioranza cristiana, sostanzialmente, il conflitto in corso nell’Eurasia settentrionale ricorda quello combattuto per il primo pozzo petrolifero scoperto nella capitale azera di Baku. Baku era il centro dell’universo dell’oro nero alla vigilia della prima guerra mondiale prima ancora che Israele esistesse come stato, quando Lord Balfour era sul punto di scrivere l’infame Dichiarazione Balfour, che alla fine avrebbe portato alla sua creazione.
Oggi, lo stato dell’apartheid ottiene il 40% del petrolio da Baku, lasciando poco all’immaginazione circa il suo interesse nel conflitto regionale. Per proteggere questi interessi, Israele è diventato uno dei maggiori fornitori di armi dell’Azerbaigian negli ultimi anni, fornendo fino al 61% di tutte le importazioni di armi azere nel 2019, secondo l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma.
Dopo che il Ministero degli Esteri armeno ha richiamato il suo ambasciatore in Israele come protesta per la vendita di armi, le affermazioni fatte la scorsa settimana da un collaboratore del presidente azero hanno sminuito le condanne armene sul ruolo di Israele definendole “esagerate”. Due giorni dopo, sulla stessa linea dell’ipocrita dichiarazione del funzionario azero, un tribunale israeliano ha respinto la richiesta dell’attivista per i diritti umani Elie Joseph di fermare la vendita di armi all’Azerbaigian, citando la mancanza di prove.
Una polveriera
La situazione in Nagorno-Karabakh potrebbe facilmente trasformarsi in una guerra più ampia tra attori molto più potenti, come la Turchia e la Russia. Quest’ultimo ha un trattato di difesa con l’Armenia, mentre il rapporto del primo con il più antico paese cristiano del mondo è afflitto dal suo storico rifiuto di riconoscere il genocidio armeno, l’omicidio di massa sistematico e l’espulsione degli armeni da quella che era ancora la capitale dell’Impero Ottomano durante e dopo la prima guerra mondiale
I segnali che il conflitto sta andando nella direzione sbagliata stanno diventando sempre più evidenti. Venerdì 16 ottobre, la Russia ha annunciato che la sua marina stava iniziando esercitazioni militari nel Mar Caspio a nord di Baku. Nel frattempo, il presidente armeno, Armen Sarkissian, il sabato successivo ha affermato di essere pronto a recarsi al quartier generale europeo della NATO a Bruxelles per confrontarsi sulle azioni di Ankara, che includono il trasferimento di mercenari dalla Siria all’Azerbaigian.
Ancora più importante, anche l’Iran potrebbe essere trascinato in una guerra più ampia e potrebbe essere la chiave per svelare la motivazione geopolitica di Israele per il suo significativo coinvolgimento nel conflitto del Nagorno-Karabakh. L’Iran condivide un patrimonio culturale comune con l’Armenia, nonostante le differenze religiose, e considera la nazione cristiana un alleato strategico.
Un giorno prima che il secondo cessate il fuoco entrasse in vigore, il Ministero degli Esteri azero accusò le forze armene di lanciare attacchi missilistici in territorio iraniano come provocazione, portando il Ministero degli Esteri iraniano a rilasciare una dichiarazione chiarendo che una “aggressione di qualsiasi parte contro i territori del nostro paese”, nel conflitto, non sarebbe tollerata.
Raul Diego è un giornalista di MintPress News, fotoreporter indipendente, ricercatore, scrittore e regista di documentari.
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org