Il processo potrebbe rilanciare il sistema politico palestinese, a patto che Israele non arresti i candidati indiscriminatamente.
Fonte:English Version
Amira Hass – 16 gennaio 2021
Foto di copertina: Il presidente palestinese Mahmoud Abbas presenzia una riunione dell’Autorità Palestinese presso la sua sede nella città di Ramallah in Cisgiordania, 19 maggio 2020. Credito: Alaa Badarneh / Pool foto tramite AP
Il decreto del presidente palestinese Mahmoud Abbas che annuncia le elezioni parlamentari e presidenziali per l’Autorità palestinese a maggio e luglio, rispettivamente, 14 e 15 anni dopo le precedenti, che avrebbero dovuto essere quadriennali, è stato accolto favorevolmente in tutto il territorio palestinese. E per una buona ragione: nonostante la divisione e la segregazione dettate da Israele, le forze politiche palestinesi e gli organismi preposti come la Commissione Elettorale Centrale palestinese continuano a rivolgersi alla popolazione palestinese nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, come un’unica entità con interessi comuni che devono essere espressi, anche alle urne.
Per anni Hamas e Fatah hanno preferito non indire elezioni generali, ciascuno per le proprie ragioni, mentre ufficialmente dichiaravano il contrario. I rappresentanti degli Stati donatori nascosero il loro imbarazzo per la paralisi del processo democratico formale del loro protetto, l’Autorità Palestinese, ma i palestinesi non si sono mai riconciliati con la realtà dell’assenza di elezioni. In un sondaggio condotto a dicembre, circa il 75% degli intervistati ha dichiarato che si dovrebbero tenere. La posizione dell’opinione pubblica palestinese, delle organizzazioni per i diritti umani e dei piccoli partiti politici ha prevalso sulla convenienza del governo perpetuo, e diviso, delle due organizzazioni di governo. Anche questo deve essere accolto con favore.
Presto, però, gli auspici lasceranno il posto a dubbi: alcune delle questioni che hanno portato al fallimento i tentativi di indire nuove elezioni negli ultimi dieci anni non sono ancora state risolte e la pandemia di coronavirus ha aggiunto ulteriori ostacoli.
La registrazione dei nuovi elettori così come la lista dei candidati di ogni partito sarà fatta elettronicamente, ma la votazione stessa avverrà di persona, ai seggi elettorali. Se l’infezione, le malattie gravi e i tassi di mortalità non diminuiscono in modo significativo prima di maggio, la pandemia potrebbe essere un’altro pretesto per rinviare le elezioni, soprattutto se Fatah dovesse scoprire, alla vigilia delle elezioni, la possibilità di subire una dura sconfitta a causa delle accuse di favoritismo e corruzione.
Questo, oltre ai voti insoddisfacenti che Fatah e Abbas ricevono per il loro operato. Nel sondaggio di dicembre, condotto dal Centro Palestinese di Politica e Statistica in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, il 66% degli intervistati ha dichiarato che Abbas dovrebbe dimettersi. Alla domanda su come voterebbero se le elezioni presidenziali si tenessero il giorno del sondaggio, il 43% ha risposto Abbas e il 50% ha detto che voterebbe per Ismail Haniyeh, il capo dell’ala politica di Hamas. Di tutti gli alti funzionari di Fatah, solo Marwan Barghouti, che sta scontando l’ergastolo in una prigione israeliana, potrebbe battere Haniyeh alle urne.
Per poterlo schierare come suo candidato alla presidenza, tuttavia, il movimento di Fatah deve uscire dal suo immobilismo e recuperare la creatività e la flessibilità che ha perso molto tempo fa. Se le elezioni del Consiglio Legislativo Palestinese si tenessero a maggio, e se Fatah fosse insoddisfatto dei risultati, il movimento escogiterebbe probabilmente un nuovo pretesto per rinviare le elezioni presidenziali, previste per luglio.
I funzionari di Fatah sono così disconnessi dagli elettori che non possono immaginare una sconfitta. Il sondaggio ha dato a Fatah un leggero vantaggio su Hamas nelle elezioni parlamentari (38% contro 34%), ma date le controversie e le divisioni all’interno di Fatah, è probabile che prima delle elezioni almeno un’altra lista sarà formata dai lealisti di Fatah che sono stati esclusi da posizioni di potere, come i sostenitori di Mohammed Dahlan e di Barghouti.
Sarebbe una sorpresa se Fatah dovesse superare, in meno di cinque mesi, tutti i disaccordi interni e le rivalità tra i suoi esponenti di alto livello, nessuno dei quali è popolare tra i palestinesi, e corresse con un’unica lista comune. (Il 1° maggio è il termine ultimo per la presentazione delle liste.)
D’altra parte, è molto probabile che gli elettori palestinesi ricorderanno la lezione del 2006: quando hanno punito Fatah alle urne, preferendo i candidati di Hamas a un’elezione equa e trasparente, Israele e il mondo hanno punito gli elettori bloccando la consegna delle tasse doganali e delle donazioni, rispettivamente. Questo timore costituisce il riconoscimento implicito della corruzione elettorale da parte dei suoi donatori e di Israele (Votate per le persone per le quali vogliamo che votiate; altrimenti le vostre casse statali resteranno vuote.)
Un’altra lezione del 2006, quando Israele ha arrestato la maggior parte dei rappresentanti eletti di Hamas in Cisgiordania, presumibilmente influenzerà la composizione delle liste del movimento. E così, in contrasto con le previsioni degli analisti israeliani, Hamas non sarà in grado di competere e governare sulle enclavi palestinesi in Cisgiordania, in cui è oggi una forza “presente-assente” a causa delle misure oppressive sia di Israele che dell’Autorità palestinese.
È più importante per Hamas garantire che la maggioranza degli abitanti di Gaza continui a votare a suo favore. Data questa situazione, Hamas e Fatah potrebbero dare un nuovo corso all’attuale situazione di divisione e invocare un “governo di emergenza nazionale”, in cui ogni parte mantiene la sua “base elettorale” e la sua presa sul potere.
La stessa pubblicazione del decreto presidenziale dimostra che le intese che Hamas e Fatah cercavano nell’ultimo anno sono state raggiunte, almeno la loro prima fase, nonostante le previsioni che la ripresa del coordinamento per la sicurezza con Israele avrebbe interrotto il processo di riavvicinamento condotto da Jibril Rajoub di Fatah e Saleh al-Arouri di Hamas.
Il decreto è stato emesso cinque giorni dopo che Abbas aveva abolito un emendamento del 2007 alla legge elettorale che richiedeva a tutti i candidati di riconoscere l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) come unico e legittimo rappresentante del popolo palestinese. Il cambiamento della scorsa settimana è stato introdotto su richiesta di Hamas, che da parte sua ha ritirato la richiesta di tenere le elezioni parlamentari e presidenziali contemporaneamente (posizione che è sostenuta dalla maggioranza degli elettori palestinesi).
Come specificato nella legge del 2007, l’elezione del Consiglio legislativo palestinese sarà basata sulla rappresentanza proporzionale, solo con liste nazionali. Un sistema misto è stato utilizzato nelle elezioni del 2006, combinando le liste di partito a livello nazionale con candidati rappresentanti ciascuno dei 16 distretti elettorali, che sono noti ai loro elettori. Hamas preferisce quest’ultimo metodo, perché i candidati religiosi, ognuno dei quali rappresenta un’area geografica relativamente piccola, ispirano maggiore fiducia tra gli elettori tradizionali rispetto ai candidati considerati laici o “minormente religiosi”. Gli emendamenti del 2007 stabiliscono anche quote minime per le candidate donne, specificando che il 26% dei 132 seggi del parlamento deve essere detenuto da donne.
La Commissione Elettorale Centrale, guidata da Hanna Nasser (ex presidente dell’Università di Birzeit, fu espulsa da Israele nel 1974 a causa della sua posizione pubblica), è in attesa di elezioni da un decennio. Una parte importante delle intese raggiunte sull’attuale legge elettorale può essere attribuita al ruolo della Commissione come mediatore tra Hamas e Fatah.
Una delle principali sfide che devono affrontare la Commissione e l’intero sistema politico palestinese è la partecipazione dei palestinesi di Gerusalemme Est alle elezioni. In passato, Hamas e Fatah hanno usato il pretesto che Israele non aveva acconsentito che le elezioni si tenessero fisicamente a Gerusalemme Est per rimandare ripetutamente la loro programmazione. Secondo il sondaggio di dicembre, il 56% degli intervistati è favorevole a tenere elezioni generali anche se non si terranno effettivamente a Gerusalemme (il 39% era contrario).
Maggiore è il desiderio di Fatah di tenere le elezioni, più troverà il modo per aggirare l’opposizione di Israele. È vero anche il contrario: più Fatah teme i risultati delle elezioni, più insisterà sull’importanza simbolica di tenerle a Gerusalemme.
Con tutti i difetti intrinseci dello svolgimento delle elezioni sotto l’occupazione israeliana, è probabile che il processo stesso di celebrarle interessi e attiri giovani palestinesi, come elettori e candidati, dando almeno un po’ di nuova vita al vecchio sistema politico palestinese. Ad una condizione: che Israele non arresti i candidati che parlano delle tattiche della resistenza popolare all’occupazione e non permetta solo ai membri di Fatah che sono fedeli a Israele di contestare le elezioni.
Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro “Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org