“La prigione è stata un ostacolo alla mia istruzione e alla mia carriera”, ha detto. “Ma continuerò a lavorare come giornalista. Non permetterò che la mia prigionia sia un capitolo oscuro della mia vita. ”
Fonte: English Version
Amjad Ayman Yaghi – The Electronic Intifada – 5 Febbraio 2021
Immagine di copertina: Mays Abu Ghosh è stata più volte torturata nel centro di detenzione noto come Russian Compound. (Foto per gentile concessione di Mays Abu Ghosh)
Nell’agosto 2019 Mays Abu Ghosh stava studiando per un esame universitario quando a tarda notte i soldati israeliani fecero irruzione nella sua casa.
Accompagnati dai cani, i soldati dissero a suo padre di svegliare la famiglia e di riunire tutti in un’unica stanza .
Poi entrarono nella camera di Mays e le ordinarono di accendere il cellulare e il computer. Lei si rifiutò .
Dopo aver disobbedito all’ordine, Mays dovette vestirsi in presenza di alcune soldatesse. La sua camera da letto e quella dei suoi genitori furono poi saccheggiate dai soldati.
Ammanettata, Mays fu portata dalla casa della sua famiglia nel campo profughi di Qalandiya al checkpoint militare di Qalandiya, un’area che separa Gerusalemme est occupata dal resto della Cisgiordania.
Da lì fu trasportata al Russian Compound, un centro di detenzione israeliano a Gerusalemme. Mays rimase in quel centro per più di un mese, durante il quale fu ripetutamente torturata.
Doloroso
“La cosa più difficile è stata rimanere per tre giorni di fila senza il permesso di dormire”, ha detto Mays, 23 anni. “Dovevo stare su una sedia e se chiudevo gli occhi, un soldato veniva da me e mi urlava contro. Sono stata continuamente schiaffeggiata. ”
Mays è stata costretta a stare in piedi e piegare le ginocchia, con i soldati che le premevano forte sulle spalle. Doveva rimanere in posizioni dolorose per lunghi periodi di tempo.
Le sue catene erano così strette che le sue mani e i suoi piedi iniziarono a sanguinare. Quando Mays ebbe le mestruazioni, gli interrogatori “hanno deliberatamente ritardato” la consegna degli assorbenti, ha detto.
“Ho ancora vari dolori – alla schiena, ai piedi e alla testa – a causa delle torture”, ha raccontato.
Oltre ad abusare di lei fisicamente, gli interrogatori di Mays l’hanno sottoposta a pressioni psicologiche minacciando che altri membri della sua famiglia sarebbero stati arrestati e che la loro casa sarebbe stata distrutta.
Mays, una studentessa di giornalismo alla Birzeit University in Cisgiordania, è stata perseguitata perché si è rifiutata di accettare l’occupazione israeliana della sua patria.
È stata accusata di far parte di Qutub, un gruppo studentesco di sinistra ritenuto “illegale” da Israele.
Tra le altre accuse contro di lei c’erano “contatto con il nemico”. Ciò si riferiva alla sua partecipazione a una conferenza tenutasi in Libano sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi.
Circa 50 persone, principalmente studenti, furono arrestate in Cisgiordania nello stesso periodo del mese di maggio.
Alcuni giornalisti israeliani si precipitarono a etichettare gli arrestati come “terroristi”. Articoli di stampa collegarono gli arresti a un omicidio vicino a un insediamento israeliano.
Eppure, come ha scritto Gideon Levy, giornalista veterano del quotidiano di Tel Aviv Haaretz, ” nessuno degli arrestati era sospettato di avere qualcosa a che fare con quell’omicidio, nemmeno indirettamente”.
“Enorme senso di perdita”
Dopo aver trascorso 33 giorni nel Russian Compound, Mays fu portata a Damon, una prigione situata in una foresta vicino alla città di Haifa, all’interno di Israele.
È stata tenuta in una cella con altre sei donne.
Quando era estate, il caldo nella cella era insopportabile. Durante l’inverno, Mays cercava di sopportare il freddo pungente coprendosi con tre coperte.
Mays era determinata a far sì che la sua prigionia non spezzasse il suo spirito. Teneva la mente attiva leggendo romanzi e libri di sociologia e cultura.
A Damon alcuni dei libri letti dai prigionieri – in particolare quelli considerati politici – furono confiscati dalle guardie israeliane.
Mays è stata tenuta in carcere per 15 mesi. Alla fine è stata rilasciata alla fine dello scorso anno.
Il suo rilascio è avvenuto un mese prima della scadenza della pena detentiva di 16 mesi. Per essere liberata ha dovuto pagare una multa di 600 dollari.
La famiglia Abu Ghosh ha sofferto molto per mano dell’occupazione militare israeliana.
All’inizio del 2016, il fratello di Mays, Hussein, fu ucciso a colpi d’arma da fuoco da una guardia di sicurezza israeliana. Fu detto che lui e un altro giovane, ugualmente ucciso, avevano compiuto un attacco con un coltello, ferendo mortalmente una donna israeliana.
Pochi mesi dopo, l’appartamento in cui viveva la famiglia a Qalandiya venne demolito da Israele in un atto di punizione collettiva. Di conseguenza dovettero trasferirsi in un appartamento su un altro piano dello stesso edificio.
Un altro dei suoi fratelli, Suleiman, fu arrestato subito dopo il raid del 2019 in cui Mays era stata portata via . Venne posto in detenzione amministrativa – reclusione senza accusa né processo.
“La mia famiglia sente un enorme senso di perdita e instabilità”, ha detto Mays. “La mia sorellina – una bambina di 5 anni di nome Iliya – bagna il letto perché ricorda quella volta che l’esercito israeliano è venuto a fare irruzione nella nostra casa e ad arrestarmi”.
Mays è pienamente consapevole che non c’è nulla di unico nel modo in cui è stata trattata. In prigione, ha incontrato molte altre donne che sono stati rinchiuse per molto più tempo di lei.
Circa 10.000 donne palestinesi sono state arrestate o detenute per ordine dell’esercito israeliano negli ultimi cinque decenni.
Alla fine di gennaio, trentasette donne palestinesi erano detenute nelle carceri o nei centri di detenzione israeliani
Numbers of Palestinian prisoners at Israeli occupation prisons by the end of January 2021. pic.twitter.com/Hem9eNUbB8
— Addameer –الضمير (@Addameer) 4 febbraio 2021
Mays ora ha ripreso a studiare, anche se deve seguire le sue lezioni online a causa della pandemia COVID-19. Spera di diplomarsi alla Birzeit nel 2021.
“La prigione è stata un ostacolo alla mia istruzione e alla mia carriera”, ha detto. “Ma continuerò a lavorare come giornalista. Non permetterò che la mia prigionia sia un capitolo oscuro della mia vita. ”
Amjad Ayman Yaghi è un giornalista con sede a Gaza.
Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” –Invictapalestina-org