Bonding with Israel

Belen Fernandez (*)  Tuesday 29 December 2015 14:21 UTC
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Un lavoratore sostituisce con un nuovo poster quello con il primo ministro Benjamin Netanyahu deturpato con vernice spray con il segno del dollaro rosso sugli occhi, due giorni prima di una elezione generale. AFP PHOTO/AHMAD GHARABLI / AFP / AHMAD GHARABLI

 

belenMentre ero in Messico all’inizio di questo mese, mentre cercavo una parola in un dizionario online e’ comparsa una pubblicità in spagnolo – nella parte superiore e a lato dello schermo – dichiarando Israele “il più bel regalo” per Hanukkah. L’annuncio mi ha indirizzato al sito web del “Development Corporation for Israel”, comunemente noto come “Israel Bonds”, la società di brokeraggio e assicurazione con sede a New York per i titoli emessi dallo Stato di Israele negli Stati Uniti. “Israel Bonds” è stata fondata nel 1951 da David Ben Gurion, il primo Primo Ministro israeliano, ed è stata particolarmente attiva negli ultimi tempi, riportando nel 2015 vendite superiori a un miliardo di dollari per il terzo anno consecutivo.

 

In tutto il mondo, quasi $400 miliardi di obbligazioni sono state vendute dalla loro comparsa quasi 65 anni fa. Nel 2011, sono state rese disponibili le obbligazioni acquistabili on line, generando affari per più di $100 milioni in quattro anni. I nomi dei titoli variano da Maccabee a Sabra, da Mazel Tov a eMitzvah. Tale è stato il prestigio, a quanto pare, che il presidente e amministratore delegato di Israel Bond “Izzy” Tapoohi è stato scelto per suonare il campanello di chiusura del Nasdaq Stock Market a Times Square lo scorso 17 dicembre.

 

Come al solito, il comunicato stampa sul sito Nasdaq ha reso il suono della campana di chiusura l’equivalente sensazionale del primo atterraggio sulla Luna con “eccitanti contenuti virali e foto della cerimonia” promessi sulla pagina Nasdaq di Tumblr e un webcast offerto su due diversi siti. Alcuni potrebbero chiedersi perché lo Stato di Israele richiede ancora altri miliardi in aggiunta ai miliardi di dollari che riceve già dagli Stati Uniti ogni anno. Per eventuali risposte a questa ed altre domande, cerchiamo di leggere attentamente la sezione “Informazioni” del sito Israel Bonds.

Qui, viene scritto che l’organizzazione è fondamentale per garantire la capacità di Israele di agire “in tempi di sfide economiche o di sicurezza” senza dipendere da entità come gli Stati Uniti per l’assistenza: “Nonostante gli Stati Uniti siano l’alleato più fedele di Israele, le sue continue difficoltà economiche e prolemi con il debito renderebbero difficile la reintroduzione di un importante programma di aiuti civili per Israele in periodo di crisi.” Non e’ importante ricordare che queste difficoltà non hanno in realtà ridotto il desiderio dell’America di finanziare Israele, mentre i propri cittadini vengono privati di necessità come l’assistenza sanitaria universale e l’istruzione. Non sono importanti neanche i recenti titoli di giornale simili a: “Washington pianifica di aumentare fino a $1 miliardo gli aiuti militari a Israele” Le obbligazioni sono vendute anche come una tattica per la lotta contro il movimento “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni” (BDS) “inviando un messaggio inequivocabile ai sostenitori di BDS: l’economia di Israele rimarrà forte”.

 

In un messaggio per il Jerusalem Post, Tapoohi stesso ripete il concetto che ogni investitore “aiuta l’economia israeliana a rimanere forte rifiutando con un forte ‘No!’ i sostenitori di BDS” – che, come lui sostiene, farebbero bene a “porre fine alla loro attenzione su Israele e rivolgere la loro attenzione al posto a cui appartengono: il tiranni e i despoti del mondo che costringono i cittadini a vivere in condizioni di estrema povertà e grave repressione”.

Tali situazioni di vita, però, vanno apparentemente bene quando sono presiedute da etnocrazie. Israel Bonds, si scopre, ha alcuni sostenitori ben piazzati ben oltre Times Square.

In un rapporto per Mondoweiss, il giornalista Ben Norton ricorda la campagna del 2014 da parte degli Studenti per la Giustizia in Palestina per fare pressione sulla University of South Florida (USF) per disinvesitre dall’occupazione israeliana; con più di 10.000 firme, era stata “la più grande petizione studentesca nella storia della Florida.” Dopo soli 13 minuti di delibera, nota Norton, il Consiglio della fondazione della USF ha respinto la petizione. A capo del rifiuto è stato Alan Bomstein, un membro del consiglio ed ex tesoriere della Fondazione, che era stato ospite d’onore ad un evento nel 2011 di Israel Bonds in Florida e destinatario della medaglia commemorativa di Theodor Herzl. Padre della moderno sionismo politico, Herzl è una delle persone da ringraziare per questo business lucrativo attualmente conosciuto come lo stato di Israele.

La pagina di Facebook di Israel Bonds elenca i modi in cui l’organizzazione ha “contribuito a costruire ogni settore dell’economia israeliana.” Il ricavato della vendita di obbligazioni hanno “giocato un ruolo decisivo nella rapida evoluzione di Israele come innovativo leader a livello globale in tecnologie avanzate, tecnologie pulite e biotecnologia “e ha contribuito a sostenere” una superpotenza tecnologica che continuamente spinge i confini dell’innovazione “.

 

A dire il vero, nessuno dice che lo scopo delle “energie pulite” e’ di saturare la Striscia di Gaza con erbicidi, o di aggredire ripetutamente le infrastrutture igieniche palestinesi per contaminare l’acqua. Non ci sono deserti in fiore a Gaza. Israele, d’altra parte, continua a trarre profitto dai suoi progressi tanto sbandierati in tecnologie dell’acqua e di altre industrie – tutte fatte, naturalmente, con l’aiuto di terre e risorse palestinesi usurpate. Sul fronte high-tech, nel frattempo, il successo di Israele nelle industria di sorveglianza è anche basato sulla diffusa sofferenza dei palestinesi, ma grazie al monopolio israeliano sulle informazioni, la vittimizzazione dei palestinesi e’ spazzata via in favore di una narrazione che propone protagonista Israele paese civile, innovativo, potenza tecnologica per il bene nel mondo. Per quanto riguarda i continui tentativi di nascondere il comportamento decisamente non ecologico di Israele, sforzi come Israel Bonds cercano di far sembrare il paese repressivo come una robusta economia e oasi imprenditoriale.

 

Per la prossima stagione di festa, non dimenticare che Israele è il “più bel regalo.”

 

(*) Belen Fernandez is the author of The Imperial Messenger: Thomas Friedman at Work, published by Verso. She is a contributing editor at Jacobin magazine.

trad. Federico Ard.  – Invictapalestina

fonte: http://www.middleeasteye.net/columns/bonding-israel-1875126223

 

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