Torino, 2 febbraio 2016 – LETTERA DAGLI STUDENTI AGLI ACCADEMICI DELL’UNIVERSITA E DEL POLITECNICO DI TORINO
“Le contestazioni vanno ascoltate. Israele non può continuare con politiche di emarginazione. I ricercatori non possono stare fuori dal mondo, devono avere delle opinioni […]”. Queste le parole del Vicerettore per la ricerca scientifica Silvio Aime il 15 ottobre 2015 su La Stampa, a commento delle contestazioni che noi – un gruppo di studentesse e di studenti dell’Università e del Politecnico di Torino – abbiamo attuato in occasione dell’incontro fra Politecnico, Università di Torino e l’Israel Institute of Technology di Haifa.
A poco più di tre mesi da quel giorno, il monito del Vicerettore è stato ascoltato da 168 ricercatori – di cui 27 solo nell’Università di Torino – che non si sono fermati alle opinioni ma sono passati ai fatti, lanciando un appello per l’interruzione di ogni forma di cooperazione accademica e culturale, di collaborazione o di progetti congiunti con il Technion. L’appello s’inserisce nella Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale d’Israele (Pacbi), declinazione del Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni (Bds)
– il movimento non violento nato dalla società civile palestinese nel 2005 – e va ad allinearsi a un trend internazionale in costante crescita. In testa gli Stati Uniti, dove migliaia d’iscritti ad associazioni universitarie hanno votato, nel corso degli ultimi anni, risoluzioni a favore del boicottaggio. Più di recente, invece, l’adesione al Pacbi si è fatta strada anche da questa parte del mondo, dove simili appelli sono stati firmati da oltre 500 accademici nel Regno Unito, 450 in Belgio, 120 in Irlanda e 200 in Sud Africa.
Non sconvolge, pertanto, la presa di posizione di oltre 200 – il numero è in crescita – membri dell’accademia italiana in generale e di quella torinese in particolare.
Ciò che sconvolge noi studenti e studentesse universitarie è l’assordante silenzio del resto dell’accademia che non solo non s’interroga sul legame fra scienza ed etica, ma peggio, lo nega, macchiandosi di complicità con le politiche oppressive di attori terzi. Questa parte di accademia trova un degno rappresentante nel Rettore del Politecnico di Torino, Marco Gilli, il quale sulla Stampa così commenta l’appello al boicottaggio del Technion: “[…] uno dei valori cardini dell’Università è l’indipendenza dalla politica, in base alla quale possiamo collaborare con tutto il mondo”.
E ancora: i progetti del Technion con l’esercito? “Non ne sono al corrente, io rispondo per i progetti che portiamo avanti noi: vertono sull’acqua, le nanotecnologie e le energie. Nulla che abbia a che vedere con politica o guerra”. A leggere queste dichiarazioni del Rettore non abbiamo potuto non ripensare al monito sopra citato del suo collega Vicedirettore per la ricerca scientifica sull’inammissibilità per un accademico di stare “fuori dal mondo”.
Ebbene, affermare di non essere a conoscenza delle collaborazioni dirette pluri-documentate fra il Technion e l’esercito israeliano significa, nel migliore dei casi, essere “fuori dal mondo”. Affermare che lavorare a progetti che comprendono l’acqua, le nanotecnologie e le energie vada oltre le ideologie e la politica significa essere, nel migliore dei casi, “fuori dal mondo” dal momento che lo sviluppo tecnologico in questi settori è strumento per il partner israeliano di violazione dei diritti umani, di apartheid e di colonialismo in Palestina.
Noi studentesse e studenti ci rivolgiamo ai professori dell’Università, ai professori del Politecnico e a tutti gli accademici torinesi e italiani affinché escano dalle loro torri d’avorio dell’imparzialità della scienza o dell’indifferenza morale e facciano proprio il monito di un altro accademico, enunciato poco meno di 50 anni fa, da una cattedra al Collège de France, che così recitava: “Il sapere non è fatto per comprendere, è fatto per prendere posizione”. Michel Foucault.
STUDENTI CONTRO IL TECHNION