24 febbraio 2016, Antonino Salerno
Fioriscono le agiografie per la scomparsa di Umberto Eco, il sommo semiologo, filosofo, scrittore, opinionista e polemista, pianto da tutti a destra e a sinistra. Su FB si moltiplicano i post di vera venerazione. Si ammira tutto del personaggio, persino la sua sterminata biblioteca. Sicuramente un grande erudito ma la venerazione è bene riservarla alle divinità ed ai santi.
Devo confessare di aver sempre avuto una cordiale antipatia per Umberto Eco, a partire da un suo vecchio testo poco o per niente ricordato in questi giorni e che io ritengo essere invece un vero e proprio manifesto di quella che sarà la sua weltanschauung, Apocalittici e integrati.
L’intellettuale alessandrino prendeva lì posizione, collocandosi dalla parte degli integrati, alla cui causa offrirà poi nella sua vita il suo indubbio acume. In nome dell’ottimismo, dello statu quo e di quello che può superficialmente apparire come anti snobismo, contro certa sinistra intellettuale con la puzza sotto il naso per i volgari gusti culturali della massa e sempre scontenta e pessimista. In realtà Eco non è da meno dei suoi colleghi apocalittici quanto a disprezzo per il popolino che va bene fin quando consuma prodotti culturali, fra cui i suoi romanzi, ma che diventa subito imbecille non appena prende la parola come fa sui social media.
Anche Calvino e Pasolini non amavano l’intellettuale alessandrino e ne diffidavano.
E’ impossibile trovare fra i tanti scritti di Eco, incluse le sue bustine di Minerva, tracce di critica al potere costituito, mentre feroci e astute sono le sue polemiche contro i dissenzienti, gli apocalittici, in nome del buon senso contadino. Abilissimo nell’ingiuriare ferocemente ma col tono della burla, il tipico sfottò simpatico e divertente che è però un’arma letale nel ridicolizzare l’avversario senza lasciargli diritto di replica a meno che il malcapitato non voglia apparire serioso, pedante e incapace di stare allo scherzo, rendendosi, appunto, ridicolo.