Discussione aperta (Seconda pubblicazione)
Qualche anno fa, Marco Revelli in un suo articolo intitolato “Gli eroi e la cattiva coscienza”,partendo dalla citazione di Bertold Brecht «Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi», ragionava sugli “eroi moderni”, che offrirono le proprie sofferenze e la propria stessa vita in “sacrificio” per disincagliare la Storia che si era arrestata.
nell’articolo concludeva:
A ben guardare, pressoché tutti gli “eroi civili” della nostra storia repubblicana sono morti in solitudine. Anzi, sono morti di solitudine. Ed è questa la ragione per cui la “figura eroica” dovrebbe, presso di noi checi portiamo addosso questo peso, più che stucchevoli esercizi di retorica, sollecitare penosi esami di coscienza (1).
La redazione di Invictapalestina ha cercato di attualizzare ragionamenti simili sull’attivismo, tema ripreso qualche giorno fa anche dalla redazione di Nena-News (2).
Questa è la nostra riflessione:
L’attivismo collettivo e i cavalieri solitari
Alcuni di noi s’interrogano su cos’è oggi, o cos’è diventato, l’attivismo, specie internazionalista. Non solo sul versante delle strategie guida della macro-politica che ci trovano orfani di partiti e movimenti di riferimento, e di linee applicative in tante analisi, che comunque non mancano, però scarseggiano di possibilità applicative in diverse aree di crisi.
Il discorso s’approssima a quel genere di attivismo con cui taluni “cavalieri solitari” ritengono di agire per una causa seguendo schemi individuali. Una scelta che un tempo aveva radici ideologiche, ad esempio, nell’anarchia e vedeva su fronti paralleli e alternativi altri pensieri e progetti segnati da intenti collettivi.
Quelle gesta che segnano la storia di classi e popoli come Gramsci ricordava dal carcere al figlio Delio “… tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano a migliorare se stessi” (da “Lettere dal carcere”). Si sorvoli sul termine “uomini” inteso dal pensatore come umanità, senza esclusione per gli altri generi.
Insomma, l’impegno costruttivo per creare e lottare cerca voci, braccia, menti, cuori al plurale, fuori da ogni soggettivismo. Cosa, indubbiamente, difficile a farsi, ma per un secolo e oltre quest’approccio ha girato nella prassi militante. Chi ne fa tuttora una bandiera, o perlomeno un percorso imprescindibile, stenta a comprendere la figurae l’operato dell’attivista unico, che schiva collaborazioni e si mostra, e quasi esibisce, in un assolo che ben più forza riceverebbe compartecipando a percorsi con tutti coloro impegnati in cause comuni.
Sappiamo che le strade talvolta possono prendere indirizzi differenti, e sia. Ma è sul principio che ci piace riflettere. Sul diverso orizzonte di coloro che prima di se stessi vedono un fine, lo condividono e ragionano per stabilire comuni e migliori strategie; per convertire l’io in noi; per vivere il dono dell’azione (o dell’agitazione) non alla maniera d’una personale sfida, ma come progetto pianificato di trasformazione comune.
Nel quale anche il singolo nutre l’anima e gli ideali, perché combatte l’egoismo che vive in natura.
La redazione di Invictapalestina
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